Le considerazioni dello studioso Felice Vinci riguardanti il simbolo dell’identità ebraica

Il nome della Stella di David, Magen Daviḏ (מגן דוד), il simbolo dell’identità ebraica che campeggia al centro della bandiera di Israele, appare singolarmente simile ai nomi di diverse città estese su sette colli – come lo è la stessa Gerusalemme – considerate sacre nelle rispettive culture. Una di queste città è Armagh, luogo sacro del mondo celtico e sede di antichi re, divenuta poi centro del cristianesimo in Irlanda: il suo nome deriva da Ard Mhacha, “la collina di Mhacha“, un’importante divinità celtica.

E che dire dei nomi della Mecca, chiamata in arabo Makkah al-Mukarramah – “l’onorata Mecca”, ovvero “la Città Santa della Mecca (Makkah)”, e di Mosca, la Matuška Moskva (“Madre Mosca”) del mondo russo? Il nome di Mosca è riconducibile a una dea slava, Mokoš, che rappresenta la Grande Madre, esattamente come la Maia romana è Tellus, la Madre Terra. Ma pensiamo anche a Macao, in Cina, con il suo tempio consacrato alla dea Mazu, protettrice dei marinai e dei pescatori, per non parlare di Roma, la città dei Sette Colli per antonomasia: due recenti studi (leggibili su https://www.futuroquotidiano.com/tag/ovidio/) ne hanno mostrato la correlazione con le sette Pleiadi, al centro delle quali la stella Maia, la dea protettrice della città – il cui nome doveva essere tenuto rigorosamente segreto – corrisponde al Palatino, su cui Romolo fondò l’Urbe il 21 Aprile, data che a sua volta è riconducibile alle Pleiadi. Cicerone la chiama “Sanctissima Maia”, espressione pressoché identica a Makkah al-Mukarramah!

Ora, nei nomi di Mhacha, Makkah, Mokoš, Mazu, Maia, tutti simili all’ebraico Magen, sembra di leggere una trama comune non solo alle tre grandi religioni abramitiche, ma anche ad altri mondi lontanissimi tra loro, da Roma all’Irlanda e persino alla Cina. Ma torniamo a Magen David, la Stella di David: essa è chiamata anche “Scudo di David”, il che ne sottolinea la funzione protettiva. Inoltre alla Stella vengono associati il numero sette nonché l’altro grande simbolo dell’Ebraismo, la Menorah, il sacro candelabro a sette luci che, non a caso, è stato spesso accostato proprio alle Pleiadi.

Infine, nel quadro così delineato si potrebbe forse far rientrare anche il nome del sito israeliano di Motza (che è stato accostato all’insediamento biblico di Moza, menzionato nel Libro di Giosuè, e che secondo alcuni sarebbe identificabile con la Emmaus menzionata nel Vangelo di Luca): qui, sulle colline della Giudea, non lontano da Gerusalemme, nel 2012 gli archeologi israeliani hanno trovato le tracce di un antichissimo insediamento risalente al Neolitico (circa 6000 a.C., il che ha smentito la convinzione che a quell’epoca l’area fosse disabitata), nonché i resti di un tempio, databile al regno di Giuda, che potrebbe essere stato in attività contemporaneamente al primo Tempio di Gerusalemme.

(foto SkyView, Israel Antiquities Authority)

Il tempio di Tel Motza era un grande edificio, risalente al IX secolo a.C. Questo nome, riletto alla luce di quanto appena emerso, sembra suggerire l’ipotesi che in tempi remoti l’altura su cui il tempio è stato costruito facesse parte di un sistema di sette colli, da cui in un’epoca successiva potrebbe aver tratto origine la concezione dei sette colli di Gerusalemme (un po’ come è accaduto per l’arcaico Septimontium che ha preceduto i tradizionali sette colli di Roma). Tutto ciò potrebbe far riferimento ad un antichissimo culto, risalente addirittura al Neolitico e sparso un po’ ovunque, della Madre Terra (chiamata Maka dai Sioux Lakota!), la quale rifletteva in alcuni luoghi considerati sacri la realtà celeste delle Pleiadi, secondo il concetto tradizionale che “ciò che è in basso è uguale a ciò che è in alto”, attribuito a Ermete Trismegisto (d’altronde nel mondo greco Ermete/Hermes era considerato il figlio di Maia). In ogni caso, le tracce di un lontano passato si riverberano tuttora sull’assetto di alcune città-simbolo del mondo attuale.

Felice Vinci, 28 febbraio 2020