Lo scrittore americano intervistato da Antonio Monda (Repubblica) alla vigilia del voto

“Trump non è la causa, ma la manifestazione di un problema che esiste da anni – afferma Paul Auster, in un’intervista rilasciata ad Antonio Monda per ‘Repubblica’ a poche ore dal voto per l’elezione del nuovo inquilino della Casa Bianca. “Ha saputo interpretare con abilità sentimenti e frustrazioni di un mondo spesso disperato – aggiunge. La sinistra americana dovrà saper parlare alle classi più umili e operaie, prendendo le distanze da Wall Street”.

Lo scrittore americano vive con grande trepidazione le ore di attesa dei risultati elettorali. “Sarebbe un momento di liberazione dopo quattro agghiaccianti anni di buio”, dice nella sua casa di Brooklyn, dove il telefono continua a squillare: amici, colleghi e giornali di ogni parte del mondo. Non ha ancora perdonato a Hillary di non aver fatto, quattro anni fa, campagna negli Stati in bilico, finendo per perderli tutti: “È stata la peggiore campagna elettorale della storia e per fortuna mi sembra che Biden abbia fatto tesoro di quegli errori”.

Oggi appare più fiducioso. “C’è un elemento che mi fa ben sperare: una percentuale, probabilmente piccola, dei delusi da Trump finirà per votare Biden, mentre dubito fortemente che chi ha votato Hillary dia questa volta il voto a Trump”. La percentuale di chi ha votato anticipatamente non ha precedenti, e lui continua la sua riflessione: “C’è in ballo la democrazia, questa volta, e l’idea stessa dell’esperimento americano: lo hanno capito i quasi cento milioni di elettori che sono già andati a votare. La buona notizia è che hanno votato anche molti giovani, la cattiva notizia è che sono andati a votare in massa anche gli elettori di Trump. La partita si gioca proprio lì: chi è riuscito a convogliare il maggior numero di supporter? Il dato giovanile mi fa pensare che sia stato Biden: sentono tutti la gravità del momento. Ma forse si tratta solo di quello che mi auguro”.

L’intervista si conclude su una riflessione sugli errori del fronte democratico e in particolare su quello che è stato il principale “mea culpa” che dovrebbe recitare il mondo liberal rispetto all’esplosione del fenomeno Trump, a suo avviso legato all’incapacità di aver saputo vedere quello che succedeva e non aver saputo parlare ad un mondo che lotta per la sopravvivenza, che invece è stato persino disprezzato. “Questo disprezzo – sottolinea Paul Auster – ha generato l’odio per la politica e la nascita del populismo e dell’antipolitica. La sinistra americana deve saper parlare alle classi più umili e operaie, prendendo nettamente le distanze da Wall Street. Non è certamente un caso che la precedente campagna elettorale sia stata affidata al big data e non agli uomini, con i risultati catastrofici che abbiamo visto”.

Fonte Repubblica – 3 novembre 2020