[ACCADDE OGGI]

L’Italia, il cui onore fu riscattato quel 13 febbraio 1503 a Barletta, era fondamentalmente l’Italia del centro sud, più sud che centro. Tra i tredici cavalieri che sfidarono la tracotanza francese dello spavaldo capitano Charles de Torgues, v’erano  quattro campani, due siciliani, un pugliese, due laziali, un abruzzese, due romagnoli e – ma le origini di quest’ultimo non sono certe – un lombardo. Gli storici un tantinello  partigiani diranno che gli italiani di Ettore Fieramosca si avvalsero dello stratagemma di non caricare frontalmente i francesi bensì  di arretrare in modo da fare uscire i transalpini  fuori dall’area della contesa per poi sopraffarli ad uno ad uno. Sarà, ma erano italiani e per lo più meridionali.

In ogni caso la “Disfida di Barletta”, con la vittoria degli italiani a cui nessuno credeva, men che meno i francesi che sicuri di vincere non si erano neanche portato le somme per pagare la scommessa da loro persa, fu il motivo a cui l’Italia si legò per rivendicare un orgoglio nazionale che faceva a cazzotti con la realtà di un paese diviso e diventato da secoli terra di conquista da parte delle diverse signorie europee nelle cui fila gli stessi cavalieri della disfida militavano.

Con l’unità d’Italia e soprattutto con il fascismo, che fece del riscatto dell’italianità  la ragion d’essere della sua politica, non vi fu piazza e strada dei più sperduti angoli del paese che non dedicava il suo ricordo ai prodi di Barletta. Qualcuno ironicamente ha ricordato che quando ci fu la tremenda alluvione di Sarno, il fango di quella maledetta frana che uccise 137 persone si fermò davanti all’altissimo monumento collocato all’ingresso del Municipio: era Mariano Abignente, uno dei cavalieri di Barletta nato a Sarno, che questa volta senza indietreggiare si era posto a difesa della sua città dall’alto del suo piedistallo.

(Franco Seccia, com.unica, 13 febbraio 2020)