Il 6 ottobre a Palazzo Bonaparte di Roma si è aperta la mostra “Impressionisti Segreti“, prodotta e organizzata dal Gruppo Arthemisia.
Per celebrare l’apertura del Palazzo, splendido edificio barocco in Piazza Venezia che Generali Italia rende fruibile alla città di Roma e non solo, nelle meravigliose sale del piano nobile, ovvero il primo, dove visse Maria Letizia Ramolino, madre di Napoleone Bonaparte, sono esposte oltre 50 opere di artisti tra cui Monet, Renoir, Cézanne, Pissarro, Sisley, Caillebotte, Morisot, Gonzalès, Gauguin, Signac, Van Rysselberghe e Cross. Tesori nascosti al più vasto pubblico, provenienti da collezioni private raramente accessibili e concessi eccezionalmente per questa mostra, sono esposti proprio a Palazzo Bonaparte – anch’esso fino a oggi scrigno privato – che apre per la prima volta le sue porte a veri capolavori del movimento artistico d’Oltralpe più famoso al mondo: l’Impressionismo.
La cura della mostra è affidata a due esperti di fama internazionale: Claire Durand-Ruel, discendente di Paul Durand Ruel, colui che ridefinì il ruolo del mercante d’arte e primo sostenitore degli impressionisti; e Marianne Mathieu, direttrice scientifica del Musée Marmottan Monet di Parigi, sede delle più ricche collezioni al mondo di Claude Monet e Berthe Morisot, già curatrice della mostra al Vittoriano su Monet che totalizzò 460.000 visitatori.
“Impressionisti Segreti” è un’opportunità unica per ripercorrere un affascinante viaggio alla scoperta del movimento artistico più emozionante e coinvolgente della storia dell’arte, tra fermo-immagini di una Parigi di fine Ottocento, seducenti ritratti di donne dell’elite dell’epoca e pennellate di luce vibrante.
La mostra gode del patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, dell’Ambasciata di Francia in Italia e della Regione Lazio. È realizzata in collaborazione con l’Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali di Roma Capitale e fa parte del progetto “L’arte della solidarietà”, realizzato da Susan G. Komen Italia e Arthemisia, insieme per portare bellezza anche nelle vite delle persone meno fortunate.

L’IMPRESSIONISMO E IL PAESAGGIO
Nel 1874, un gruppo di artisti, in rivolta contro il gusto ufficiale, allestì la sua prima mostra in alcuni locali messi a disposizione dal fotografo Félix Nadar, al numero 35 di Boulevard des Capucines a Parigi. Tra loro vi erano Claude Monet, Pierre-Auguste Renoir, Camille Pissarro, Edgar Degas, Alfred Sisley, Berthe Morisot, Armand Guillaumin e Paul Cézanne. Il capofila del gruppo era Édouard Manet, nonostante le sue opere non furono mai esposte assieme a quelli di questi artisti. Il pubblico rimase profondamente scioccato dai loro lavori e la critica si scatenò ma, malgrado il cocente insuccesso, non si persero d’animo e, sostenuti da un piccolo numero di estimatori e mercanti d’arte dallo sguardo visionario, portarono avanti con passione la maggiore rivoluzione estetica dei loro tempi. Ciò che sgomentò la critica dell’epoca e che poi decretò il successo di questo stile pittorico furono le sue principali caratteristiche: la scelta di soggetti tratti dalla quotidianità; un’immagine chiara, luminosa e variopinta, liberata dai toni bituminosi e terrosi dei pittori accademici; lo studio attento degli effetti della luce sugli esseri viventi e sulle cose e la frammentazione della pennellata finalizzata a tradurre al meglio le vibrazioni atmosferiche. Gli artisti che all’interno del gruppo si possono classificare come paesaggisti, cioè Monet, Pissarro, Sisley e Guillaumin, abbandonano le vedute grandiose e piazzano il cavalletto davanti a scene della vita vera, sovente ordinarie e più vicine alle loro realtà. L’impressionista si siede sulla riva di un fiume in cui si riflette il cielo, dipinge la campagna, una scogliera assolata, osserva la vita contadina, coglie il freddo pungente dell’inverno, scruta il percorso del sole. I paesaggi non sono più dipinti in studio, ma direttamente all’aria aperta e la luce, l’aria, il gelo, il calore penetrano nei quadri di questi artisti.

DIPINGERE LA VITA PARIGINA
Nell’Ottocento, gli artisti arrivavano a Parigi da tutto il mondo perché la capitale francese era allora la culla della vita culturale internazionale. Era qui che un giovane artista poteva farsi un nome, ricevere una formazione, incontrare altri pittori e soprattutto ottenere il riconoscimento dei collezionisti e dei mercanti d’arte. A Parigi, inoltre, avevano luogo le grandi mostre a cui accorreva un pubblico interessato. In quell’’epoca di boom industriale, la città era anche sinonimo di modernità. Con il piano urbanistico del barone Haussmann, Parigi ampliò le sue arterie stradali ed eleganti palazzi venivano eretti un po’ ovunque. Di queste trasformazioni fu diretto testimone Gustave Caillebotte che riportò sulla tela le immagini della folla nelle strade o nei viali, il trambusto cittadino, osservati da un balcone o contemplati stando in piedi dietro la finestra di un confortevole interno borghese. Édouard Manet, Berthe Morisot ed Eva Gonzalès sono gli artisti più parigini del gruppo impressionista ma si allontanano dal tumulto cittadino per dipingere con sensibilità il loro universo intimo, fatto di ritratti di familiari o di amici.

RENOIR, PITTORE DI FIGURE
Pierre-Auguste Renoir, al contrario di Monet, Sisley e Pissarro, è soprattutto pittore di figure e nei suoi dipinti il paesaggio sostanzialmente un ruolo accessorio. Quando era ancora in vita, un celebre critico d’arte ebbe a dire: «Dubito che un altro pittore abbia mai interpretato la donna in maniera più seducente. Il pennello di Renoir, rapido e leggero, conferisce grazia, morbidezza, naturalezza, rende trasparente la pelle, colora le gote e le labbra di un brillante incarnato. Le donne di Renoir sono creature incantevoli…». In vita sua Renoir eseguì una cifra impressionante di ritratti, circa duemila, costituiti essenzialmente da donne e bambini, accanto ai quali si sentiva appagato e trovava la sua piena felicità. Il pittore, proveniente da un ambiente molto semplice, riuscì a crearsi un nome e guadagnarsi da vivere grazie alla commissione di ritratti di famiglia da parte di clienti appartenenti alla grande borghesia o all’aristocrazia francese. Accanto a questi ritratti di personaggi noti, Renoir dipinse un numero considerevole di figure anonime riproducendoli a figura intera o a mezzo busto, in piedi o seduti, nell’atto di leggere o sognare, da soli o in gruppo, e da ognuna di queste figure si percepisce il carattere e l’intimo modo di essere.

IL NEOIMPRESSIONISMO
Il 1886 è stato l’anno che ha segnato la fine dell’impressionismo. Una nuova generazione era pronta a raccogliere il testimone. Quando, proprio nel 1886, i pittori impressionisti organizzarono la loro ottava e ultima mostra collettiva, si affacciò un nuovo movimento artistico nato intorno a Georges Seurat e Paul Signac, battezzato dal critico d’arte Félix Fénéon, neoimpressionismo. Con questo termine si fa riferimento a una tecnica pittorica che consiste, invece che nel non mescolare i colori sulla tavolozza, nell’accostarli direttamente sulla tela sotto forma di piccole pennellate. In questo modo i colori, isolati, si ricompongono a distanza sulla retina dell’osservatore. Alla mostra del 1886, Seurat, la figura principale di tale corrente, presentò il quadro Una domenica pomeriggio sull’isola della Grande Jatte (The Art Institute of Chicago) che divenne il manifesto del nuovo movimento. La tecnica neoimpressionista, scientifica e molto rigorosa, sedusse numerosi artisti tra cui Signac, Théo van Rysselberghe, Henri-Edmond Cross ed Emile Laugé. Dell’impressionismo questi giovani artisti conservarono tuttavia diversi aspetti: la scelta di temi appartenenti alla vita quotidiana, l’utilizzo del colore e soprattutto le variazioni della luce; ma la pennellata rapida e istantanea degli impressionisti sembra quasi un’improvvisazione in confronto al rigore del segno neoimpressionista ed è quindi nell’esecuzione che consiste l’evoluzione di questi artisti i quali, con tanti piccoli puntini, produssero opere vibranti di luce.
Accompagna la mostra un prezioso catalogo edito da Arthemisia Books.