Intervista (da La Stampa) al sindaco Nir Barkat. In carica dal 2008, ha rivoluzionato la città: ora è tra i migliori poli di start up. E scommette sull’alta velocità.

Cosa vi viene in mente se pensate a Gerusalemme? Forse i luoghi santi o le violenze legate al conflitto israelo-palestinese. Probabilmente non pensate a centri di ricerca, auto di Formula 1 che sfrecciano sotto mura millenarie e treni ad alta velocità. Ma è proprio a questo che pensa Nir Barkat, il sindaco che sta cercando di cambiare il volto di una delle più complesse realtà urbane del Medio Oriente. Da lunedì a Roma e Venezia per una serie di incontri della Jerusalem Foundation in occasione della festa dell’indipendenza d’Israele, Barkat ha parlato dei suoi progetti per Gerusalemme.

È ora di aggiornare l’immagine che il resto del mondo ha della sua città?

«Decisamente. Oggi Gerusalemme coniuga la storia con l’innovazione e il futuro. Negli ultimi anni, partendo quasi da zero, abbiamo scalato le classifiche dell’hi-tech, diventando uno dei 25 migliori ecosistemi al mondo per le startup; e l’anno prossimo puntiamo a entrare nella top 20. E poi cresce il turismo: da 2 milioni di visitatori l’anno siamo passati a 4-5».

A marzo la decisione di Intel di acquistare per 15 miliardi di dollari Mobileye, società basata a Gerusalemme che sviluppa software per auto senza pilota, ha acceso i riflettori sull’hi-tech in città. Si è trattato di un caso isolato?

«Ci sono tante storie di successo, come OrCam, società che sviluppa occhiali con telecamera e software incorporati per aiutare i non vedenti a visualizzare e interpretare le immagini. In quattro anni siamo cresciuti da 250 start-up a 600, soprattutto nel campo medico e altre nicchie in cui competiamo con poli tecnologici come Tel Aviv grazie anche all’apporto di centri di eccellenza come l’Università Ebraica e l’Ospedale Hadassah».

Come avete favorito questa svolta?

«Le nostre ricerche hanno identificato due aree in cui avevamo un vantaggio competitivo: le scienze mediche e le alte tecnologie da una parte, il turismo e la cultura dall’altra. Ho impostato il nostro piano di crescita su queste aree e ho sollecitato l’approvazione di incentivi fiscali che hanno reso più attraente la città per le aziende».

E sul turismo?

«Abbiamo lavorato sulla domanda, creando una serie di eventi come la maratona e l’esibizione di Formula 1, e sull’offerta, approvando incentivi fiscali per l’industria alberghiera. Stiamo completando la ferrovia ad alta velocità che collegherà Gerusalemme con l’aeroporto in 20 minuti E poi c’è la linea della ferrovia leggera in città, altre due sono in costruzione. L’obiettivo è ospitare più di 10 milioni di turisti l’anno».

Gerusalemme è però ancora una delle città meno ricche del Paese. Molti, soprattutto arabi ed ebrei ultraortodossi, vivono sotto la soglia di povertà.

«Sì, e per questo lavoriamo su tre fronti: creare posti di lavoro; migliorare l’istruzione adattandola ai bisogni del mercato e riducendo gli abbandoni scolastici; utilizzare i programmi di “welfare” per portare fuori dalla povertà più persone possibile, soprattutto bambini».

Israele festeggia i 50 anni dalla riunificazione di Gerusalemme. Nell’ambito di un accordo di pace con i palestinesi, sarebbe favorevole a dividere la città per fame la capitale di due Stati?

«La città non sarà mai divisa. Gerusalemme, come tutte le città del mondo, non può vivere divisa. Gerusalemme potrà funzionare solo se continuerà ad accogliere tutti, a rispettare tutte le religioni e i diversi modi di vivere come fa oggi. I palestinesi devono dimostrare di volere la pace e riconoscere Israele. Abbiamo saputo fare accordi con acerrimi nemici come Egitto e Giordania, ma con i palestinesi stiamo ancora aspettando. Se vorranno la pace troveremo una soluzione».

(Ariel David, LA STAMPA 6 maggio 2017)