La lunga Marcia iniziò il 16 ottobre 1934, durò 370 giorni e terminò il 22 ottobre 1935.

Fu una ritirata, dopo la pesante sconfitta che le forze rivoluzionarie avevano subìto dal Kuomintang in quelle regioni che invece si erano trasformate socialmente all’ombra delle “canne dei fucili”, allontanando tutto ciò che era la vecchia società cinese. Fu il rifiuto di arrendersi, con la ricerca di scelte tattiche coerenti con la necessità di una lotta armata a lunga scadenza. Non fu una fuga caotica e casuale, ma fu una ritirata accuratamente pianificata e organizzata, nonostante le condizioni in cui si trovarono ad operare le forze rosse negli ultimi mesi, per sfuggire al “quinto accerchiamento” degli uomini del Kuomintang, agli ordini di Chiang Kai-Shek, nel Jiangsi meridionale. L’Armata Rossa godeva del pieno appoggio popolare, nei soviet cinesi meridionali la terra era stata ridistribuita, le tasse alleggerite ed erano state costituite aziende collettive: nel Jiangxi, nel 1933, c’erano più di mille cooperative. Il tenore di vita degli operai e dei contadini nelle zone delle retrovie era migliorato, l’educazione di massa aveva portato grandi progressi, erano stati eliminati la disoccupazione, il consumo di oppio, la schiavitù dei bambini, i matrimoni obbligati, in tre o quattro anni era aumentato il numero di coloro che sapevano leggere e scrivere. Sicuramente ogni contadino affrancato era disposto a combattere fino alla fine per salvare la sua terra, perché il ritorno del Kuomintang significava il ritorno dei proprietari terrieri e dei latifondisti senza scrupoli.

Il “quinto accerchiamento” fu ideato maggiormente dai consiglieri tedeschi di Jiang Kai-Sheck, in particolar modo dal generale Von Falkenhausen. Una tattica radicale che puntava all’esaurimento delle risorse per stanare i “banditi rossi”. Secondo Chou En-Lai, nel corso della quinta campagna la sola Armata Rossa perdette sessantamila uomini, il numero dei morti tra la popolazione civile fu ingente: il Kuomintang ordinò deportazioni ed esecuzioni di massa. Stime ufficiali riferiscono di più di un milione di persone uccise o morte di fame, nel corso della guerra per recuperare il Jiangxi sovietico. Guardando attraverso lo schermo della leggenda, la Lunga Marcia fu un evento umano straordinario, dalle grandi implicazioni politiche. Marciarono prevalentemente di notte e percorsero dodicimila chilometri tra montagne ripide, innevate e prive di strade, altopiani aridi, attraversando fiumi imponenti. Combattendo e aprendosi una strada fino allo Shaanxi. La ritirata da Jiangxi si svolse tanto rapidamente che solo quando le forze principali dell’Armata Rossa, circa novantamila uomini, erano già in marcia da diversi giorni, il quartier generale del Kuomintang si accorse di quanto stesse succedendo. A fianco delle truppe regolari si unirono migliaia di contadini, vecchi e giovani, donne e bambini, comunisti e non comunisti. Qualsiasi cosa avesse valore e potesse essere trasportata fu caricata sui dorsi di asini e muli, furono smantellati gli arsenali e le fabbriche.

Alla ritirata si diede anche un altro obiettivo: sconfiggere i Giapponesi che stavano invadendo la Cina dalla Corea e dalla Manciuria. Mao Ze Dong propose che si marciasse sullo Shaanxi, una regione semidesertica a ridosso del Fiume Giallo, per attaccare l’esercito giapponese. Alcuni leader, come Zhang Guodao, si diressero verso il confine con l’Unione Sovietica, nello Yunnan e nello Szechuan, dove cercarono l’appoggio delle minoranze etniche non- Han, non sempre pacifiche nei confronti dei Cinesi. Di sicuro si aprì un conflitto con Mao, che restava dell’opinione di combattere i Giapponesi a nord. Resta comunque un punto oscuro il comportamento di alcuni vecchi capi guerriglieri da sempre al fianco di Mao nella lotta armata contadina: Zhou Deh e Liu Bo-Zheng rimasero nello Szechuan bloccati in montagna dai fiumi in piena, ma alcune fonti, come l’americana Agnes Smedley, riportano che a bloccarli furono le pistole “puntate alla schiena” di Zhang Guodao.

Nell’ottobre del 1935 l’Armata Rossa, ridotta ormai a settemila uomini, giunse nello Shaanxi. La traversata delle paludi, senza cibo, era stata estenuante, molti guerriglieri sfuggiti alle persecuzioni, alle malattie e alla guerra erano morti ingoiati dal fango. In autunno avevano superato i valichi che separavano lo Szechuan dal Gansu. Quando giunsero a Paoan, nello Shaanxi, sui muri dei villaggi c’erano le scritte con cui i guerriglieri della base rossa salutavano i compagni superstiti. L’azione concreta contro i Giapponesi fu intrapresa quasi subito, nonostante la repressione del Kuomintang, che tuttavia non riuscì a stringere d’assedio la nuova base rossa, a causa della presenza nello Shaanxi di un signore della guerra favorevole alla lotta antigiapponese e di un governatore assolutamente anticomunista ma ostile a Jiang Kai-Sheck.

Il primo messaggio che Mao Ze Dong e Zhou Deh ricevettero alla fine della Lunga Marcia, fu quello di Lu Xun, compagno di lotta di tanti antifascisti europei: “Salvate la Cina”. Dal passato, dall’oppressione, dal fascismo, dallo sfruttamento di classe, dai regimi che limitano la libertà dell’uomo.

La Lunga Marcia portò Mao Ze Dong a capo della Rivoluzione e avvolse con un’aura di prestigio comandanti come Lin Piao, Deng XiaoPing, Liu Shaoqi, Zhou Deh. Il Generalissimo Jiang Kai-Sheck fu catturato nel 1936 da una guarnigione ribelle del Kuomintang e fu consegnato a Mao, che lo liberò per ordine di Stalin. Ad occupare la Cina c’era adesso un potere nuovo, una nuova forza politica. I comunisti avevano conquistato la Cina perché si erano identificati con il popolo cinese, ottenendone il “consenso”. Il Kuomintang, complice dell’imperialismo, non fu più in grado di garantire la pace e la sicurezza e divenne estraneo al Paese. Non sarebbe più riuscito a riconquistarlo.

(Nadia Loreti, com.unica 16 ottobre 2016)