Ha compiuto cent’anni lo studioso del Medio Oriente che nel secolo scorso annunciò «Il ritorno dell’Islam», consigliere di G.W. Bush ai tempi della guerra in Iraq. Un suo ritratto da “La Stampa”.

Ha pronosticato anzitempo che la nostra era sarebbe stata caratterizzata da un «ritorno dell’Islam». Bernard Lewis, tra i maggiori esperti del Dopoguerra di storia del Medio Oriente e dell’Islam, ha da poco compiuto cento anni.

Nel dopo 11/9, con il tempismo di un libro dato alle stampe poco prima degli attentati alle Torri Gemelle – Il Suicidio dell’Islam, in inglese What Went Wrong, che cosa è andato storto – è diventato il più mediatizzato professore di studi mediorientali, convocato regolarmente dai vertici repubblicani di Washington per dare consiglio.

L’IMPERO OTTOMANO

Dal VII secolo alla caduta di Costantinopoli, nel 1453, l’Islam è stata una civiltà in espansione militare, sociale, politica, culturale, scientifica. Nei secoli successivi, scrive Lewis nel libro del 2001, perde spinta innovativa ma, sostenuto dalle vittorie militari, prende coscienza del suo rallentamento e dei rapidi sviluppi del sapere degli «infedeli» soltanto con la fine dei successi bellici: la sconfitta di Vienna del 1683. Quando è ormai tardi, con un Impero Ottomano vacillante, fa i conti con il divario, rifiutando però in parte la modernità europea. Sarebbe stato questo cortocircuito secolare, per il professore, a creare in aree della società musulmana i presupposti della violenza terroristica e jihadista.
Nato in Gran Bretagna da famiglia ebrea, Bernard Lewis si è appassionato in gioventù agli studi e alle lingue del Medio Oriente. Dopo aver servito nella Seconda guerra mondiale nell’intelligence militare, ha insegnato al tempio del sapere orientalista londinese, the School of Oriental and African Studies, per poi trovare la sua casa definitiva a Princeton, Stati Uniti.
Nel 1976, tre anni prima della Rivoluzione islamica a Teheran, Lewis, sulla rivista conservatrice Commentary, ha parlato di «Ritorno dell’Islam» in un momento in cui, ricorda in un recente articolo il discepolo Martin Kramer, la narrativa sul Medio Oriente era fondata sulle categorie politiche di destra e sinistra. Scrive Lewis di una «ricorrente riluttanza» a riconoscere «l’universalità della religione come un fattore nelle vite dei popoli musulmani».

L’EQUIVOCO

L’Europa cristiana per secoli non avrebbe riconosciuto l’Islam come comunità religiosa, ma etnica: saraceni mori, turchi, tartari… Spiega Lewis come non siano infatti nazione o Paese, come in Europa, a essere alla base dell’identità, ma la comunità politico-religiosa: «Era la religione a distinguere coloro che appartenevano al gruppo». E all’inizio degli Anni 70, la «crescita della passione religiosa» in Medio Oriente, fa notare, è «ovvia»: persino i regimi laici giustificavano la propria legittimità in termini religiosi.
Come altre religioni, l’lslam ha conosciuto periodi in cui ha ispirato sentimenti di odio e violenza tra i suoi fedeli, scrive Lewis nel 1990, sull’Atlantic, cercando di individuare «le origini della rabbia musulmana» verso l’Occidente: «Un’irrazionale ma sicuramente storica reazione di un antico rivale contro la nostra eredità giudaico-cristiana e il nostro presente laico». «E’ per nostra sfortuna che una parte – e assolutamente non tutto e nemmeno la maggioranza – del mondo islamico sta vivendo ora un simile periodo».
Per primo nel ’57 e poi sull’Atlantic ha utilizzato quella che resta una formula alla base di infinite polemiche: «scontro di civiltà». Se i musulmani hanno faticato a comprendere la corsa dell’Europa verso la modernità, l’Occidente ha fallito nel non riconoscere che l’interlocutore è assieme religione e sistema politico. Da qui, lo scontro, sostiene. Alla «rabbia» islamica diagnosticata in molti suoi scritti, Lewis non concede soluzioni. Sembra trovarne provvisoriamente una nel suo contestato appoggio all’invasione dell’Iraq del 2003.

BIN LADEN

Se ha dato in anticipo l’allarme sull’ascesa di «una versione estremista dell’Islam militante», per usare le sue parole; messo in guardia sulla pericolosità di Ruhollah Khomeini in Iran, e sul fondamentalismo sanguinario di Osama Bin Laden, i detrattori gli rimproverano una visione stereotipata dell’Oriente, di aver ridotto le ragioni della «rabbia» islamica contro l’Occidente a questioni interne al mondo musulmano, senza soppesare abbastanza l’effetto di colonialismo europeo e interferenza americana. Gli contestano il sostegno all’intervento in Iraq – senza prevederne le conseguenze – alle politiche dell’Amministrazione Bush, al «regime change».
Nella sua produzione, prima e dopo il 2003, Lewis ha però spesso raccomandato prudenza all’Occidente nell’interferire in Medio Oriente e nell’esportare schemi politici occidentali. Nell’aprile 2011, torna su quei consigli. In una conversazione con il Wall Street Journal suggerisce di sostenere le rivolte arabe in corso ma di non imporre sistemi politici occidentali. E «non perché il Dna musulmano non sia predisposto». «L’intera tradizione islamica è chiaramente contro le autocrazie e il governo irresponsabile», «ai musulmani dovrebbe essere permesso di sviluppare la loro maniera di fare le cose».

SCONTRO DI CIVILTÀ

Per Lewis, lo «scontro di civiltà» non equivale a una rilettura negativa della storia: lui resta soprattutto uno studioso innamorato della civiltà islamica classica. «L’Islam ha portato conforto e serenità a innumerevoli milioni di donne e uomini – ha scritto sull’Atlantic – … Ha insegnato a popoli di razze diverse a vivere in fratellanza e a popoli di credo diversi a vivere uno accanto all’altro, in ragionevole tolleranza. Ha ispirato una grande civiltà in cui altri, accanto ai musulmani, hanno vissuto in maniera creativa e utile e che, attraverso alle sue conquiste, ha arricchito il mondo intero». L’Islam sta ora arrivando in Europa attraverso le migrazioni, e il professore si chiede da anni se il futuro sarà quello di «un’Europa islamizzata o di Islam europeizzato».

(Rolla Scolari/La Stampa 8 giugno 2016)