A Palazzo Martinengo di Brescia in mostra, fino al 12 giugno 2016.

Oltre cento capolavori per raccontare l’incanto di una città che è stata da sempre un mito nell’immaginario collettivo. L’iniziativa è stata curata da Davide Dotti, col patrocinio della Provincia di Brescia e del Comune di Brescia. Sono stati presentati i capolavori di Canaletto, Bellotto, Guardi e dei più importanti vedutisti del XVIII e XIX secolo, provenienti da collezioni pubbliche e private, italiane e internazionali. Per la prima volta, l’analisi del ‘Vedutismo’, non si esaurirà con l’esperienza di Francesco Guardi, ma proseguirà anche lungo il XIX secolo. Il Vedutismo nasce come nuova corrente artistica nel 1700 e a caratterizzare questo periodo sono le “vedute”, i paesaggi naturali, i centri delle città, i rioni, le piazze, da cui prende il nome. Questo movimento si sviluppa in modo particolare a Venezia, grazie alle sue caratteristiche e alle suggestioni che evoca, portando allo sviluppo di una vera e propria Scuola Veneziana.

L’interesse per la produzione di vedute, propriamente dette, cominciò a svilupparsi a Venezia verso la metà del Seicento, sulla scia di quanto era avvenuto nei paesi nordici: non a caso fu un tedesco trapiantato a Venezia, Joseph Heintz il Giovane (1600-1678) l’anticipatore del Vedutismo Veneziano. Nelle opere di questo pittore, autore anche di tele religiose, si trova la minuziosa e coloratissima descrizione della realtà cittadina e urbana, dalle scene di festa, agli avvenimenti pubblici, fino alle più peculiari situazioni popolari. A ereditare lo stile di Heintz fu Luca Carlevarijs, il quale iniziò la gloriosa stagione del vedutismo veneziano settecentesco. Veneziano d’adozione, Carlevarijs, che fu maestro del Canaletto, rappresentò la città fedelmente, utilizzando non solo le sue conoscenze nel campo della prospettiva e dell’architettura, ma facendo uso di mezzi meccanici come la camera ottica. Si era in pieno Illuminismo e vennero abbandonate le finzioni ottiche e i trucchi tipici del Barocco, in favore di una rappresentazione molto oggettiva della realtà. La camera ottica, già conosciuta nei secoli precedenti e perfezionata nel 1500 con l’introduzione di una serie di specchi e lenti, fu uno strumento fondamentale durante il periodo del Vedutismo. Con la camera ottica l’immagine del paesaggio era proiettata direttamente su un foglio o su una tela e quindi ricalcata dai pittori. Il risultato finale ottenuto con l’uso della camera ottica faceva sì che i quadri fossero tanto precisi nella loro descrizione di canali, chiese, monumenti e campi da somigliare ad una foto.

I generi pittorici paralleli al Vedutismo sono la pittura del paesaggio, il capriccio (un’elaborazione fantastica tra paesaggio, ruderi e l’inserimento e sostituzione di parti del paesaggio) e la veduta di rovine (che si sviluppò principalmente a Roma). Tra i maggiori Vedutisti della Scuola Veneziana si ricordano: Giovanni Antonio Canal, detto il Canaletto, che utilizzò la camera ottica per riprodurre la prospettiva degli scorci; Francesco Guardi, che interpretò e valorizzo la luce in modo particolare, rendendo le atmosfere lagunari incantate, senza essere troppo fedele all’ambiente rappresentato. Bernardo Bellotto, che lavorò soprattutto all’estero e che diventò famoso per le sue vedute di Monaco, Dresda, Varsavia e Vienna. Infine, Michele Marieschi, il quale, accanto alle bellissime vedute di Venezia, compose affascinanti “capricci”. Ad aprire il percorso espositivo le opere suggestive dell’olandese Gaspar Van Wittel e quelle del friulano Luca Carlevarijs, padri del vedutismo veneziano, che aprirono la strada allo straordinario talento di Canaletto, cui sarà dedicata la seconda sezione. Qui, le sue vedute si confrontano con quelle del padre Bernardo Canal, del nipote Bernardo Bellotto e del misterioso Lyon Master, artista attivo nella bottega di Canaletto sul finire del quarto decennio del XVIII secolo. Seguono i lavori dei maggiori vedutisti attivi nella seconda metà del Settecento: Michele Marieschi, Antonio Joli, Apollonio Domenichini, Antonio Stom e lo svedese Johan Richter.

Nella seconda metà del XVIII secolo, nelle opere di Francesco Guardì, la bellezza di Venezia diventa remota e impalpabile, quasi dissolta tra i bagliori luminosi e gli aloni di colore che annunciano la pittura moderna, il preludio all’Impressionismo. Del friulano Giuseppe Bernardino Bison sono presentati diversi lavori inediti, ritrovati recentemente in collezioni private: Bison reinterpretò la tradizione del Secolo dei Lumi in chiave originale e secondo i nuovi canoni estetici romantici, traghettando di fatto il Vedutismo dal XVIII al XIX secolo. La figura di Bison, nella mostra, viene a compararsi con quella di altri importanti artisti della prima metà dell’Ottocento, quali Vincenzo Chilone, Giuseppe Borsato, Francesco Moja, Giovanni Migliara e Giuseppe Canella, che arricchirono l’immagine di Venezia, rinnovandola e rendendola attuale, con dettagli inediti, angolature particolari, atmosfere che esprimevano lo spirito del loro tempo.

Nell’ultima sezione, si possono ammirare i dipinti realizzati nella seconda metà del XIX secolo dagli artisti Luigi Querena, il quale narra il quotidiano svolgimento della vita nella laguna, sullo sfondo di prospettive di tipo canalettiano; Francesco Zanin, pittore vicentino, che nonostante i giudizi non proprio favorevoli della critica, godeva del favore dei collezionisti soprattutto stranieri, per i quali dipingeva i luoghi più conosciuti di Venezia. Infatti Zanin trovò un proficuo filone commerciale nel mercato anglosassone, risalendo al quale è stato possibile riscoprire alcune sue opere. Con le innovazioni che investirono la scuola di paesaggio e prospettiva, la fortuna di Zanin presso i collezionisti cominciò a venire meno e venne reputato dalla critica come un mero imitatore di Canaletto.

I Macchaioli Guglielmo Ciardi, Pietro Fragiacomo e altri ancora, che perpetuarono il fascino di Venezia attraverso pennellate morbide e macchie dai contorni sfumati, fino ai confini dell’epoca moderna. E’ presente anche una rarissima Venezia di grandi dimensioni del maestro bresciano Angelo Inganni, datata 1839, che immortala Piazza San Marco animata da personaggi in costumi d’epoca.
Nella sezione Venezia riflessa nel mare, si trova una serie di incisioni di Canaletto, lavori giovanili, acqueforti in cui ha illustrato un paesaggio veneto calmo e assolato, dove i momenti della vita quotidiana hanno il sopravvento rispetto alle architetture. Il silenzio investe l’osservatore, manca il vociare della Venezia affollata nei giorni di festa. Nelle incisioni di Canaletto si scopre la bellezza della pianura veneta, l’intima e accogliente atmosfera delle semplici case borghesi, dove le donne svolgono, assorte, le loro faccende domestiche; le mattine calme dei luoghi più frequentati, gli uomini sereni a lavoro sulle banchine dei porti. In questa sezione si trovano anche le incisioni di Marieschi e Visentini, che hanno contribuito a diffondere l’immagine della Serenissima in tutta Europa.

Chiude la mostra Venezia teatro della vita, sezione dedicata a dipinti con scene di vita quotidiana ambientati in campi e campielli, tra le calli e i canali della favolosa e incantata città lagunare.

(Nadia Loreti/com.unica, 1 giugno 2016)