Il ricordo del giovane giornalista e studioso. Mattarella: “Era un democratico, un riformatore, e questo risultava insopportabile al fanatismo estremista”

Walter Tobagi fu ucciso barbaramente perché rappresentava ciò che i brigatisti negavano e volevano cancellare. Era un giornalista libero che indagava la realtà oltre gli stereotipi e pregiudizi, e i terroristi non tolleravano narrazioni diverse da quelle del loro schematismo ideologico”. Con queste parole il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha voluto ricordare oggi il giornalista del Corriere della Sera barbaramente ucciso a Milano dalle Brigate Rosse esattamente 40 anni fa, il 28 maggio 1980. “Era un democratico, un riformatore, e questo risultava insopportabile al fanatismo estremista”, sottolinea Mattarella ricordando che “Tobagi è morto giovanissimo. A trentatré anni aveva già dimostrato straordinarie capacità, era leader sindacale dei giornalisti lombardi, aveva al suo attivo studi, saggi storici, indagini di carattere sociale e culturale”.

Walter Tobagi nasce a San Brizio, vicino Spoleto, il 18 marzo 1947. Figlio di un ferroviere, frequenta il liceo Parini di Milano e matura il suo impegno politico in un momento in cui le aspirazioni rivoluzionarie dei suoi coetanei sono gli ideali di una generazione. Di formazione cristiana, politicamente vicino al socialismo riformista, entra a ‘L’Avanti!’ di Milano giovanissimo, e nel 1969 viene assunto dal quotidiano cattolico ‘L’Avvenire’.

Diventerà nel giro di pochi anni un giornalista affermato e parallelamente svolgerà anche attività di ricerca all’Università Statale di Milano, dove si occupa di storia del movimento sindacale. Studia anche i rapporti fra la politica e la violenza armata nel difficile dopoguerra. Come giornalista si dedica, con scrupolo e rigore, alla politica estera, e ai problemi economici e sindacali che turbano il Paese. Scrive lunghi servizi sulla condizione dei lavoratori della Fiat Mirafiori, sull’autunno caldo del 1972, sui roventi dibattiti che riguardano l’unità sindacale dei metalmeccanici delle tre confederazioni. Alla fine degli anni Settanta, inizia ad occuparsi anche di terrorismo. Segue la strage di Piazza Fontana, la vicenda di Valpreda e le responsabilità di Ventura e di Freda, la morte dell’anarchico Pinelli e l’omicidio del commissario Calabresi. Indaga, poi, sulla strana e tragica fine di Giangiacomo Feltrinelli che muore su un traliccio a Segrate perché la bomba che ha preparato gli esplode in mano. Quando è assunto da “Il Corriere della Sera”, benché molto giovane, ha già alle spalle una lunga carriera e può esprimere tutte le proprie potenzialità come inviato speciale sul fronte del terrorismo e come cronista politico e sindacale. Afferma che non vi è alcuna differenza fra le Brigate rosse ‘romantiche’ delle origini e quelle che alla fine degli anni Settanta sono sanguinarie e ambigue. Denuncia la connivenza nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro e riconosce i segnali che una società intera avrebbe dovuto cogliere. È anche un sindacalista.

Walter fu ucciso per il clima infame che si era stabilito nelle redazioni dei giornali da quando aveva osato sfidare il conformismo filocomunista del sindacato dei giornalisti – ricorda oggi il direttore di “Mondoperaio” Luigi Covatta, ex dirigente socialista e amico di Tobagi. “Una sfida che comunque non venne raccolta come tale, e cioè come stimolo ad un confronto di merito sulle questioni che riguardavano l’esercizio della professione in quella delicata fase di evoluzione del sistema mediatico: ma veniva buttata in caciara politica, rivolgendogli puramente e semplicementel’accusa di essere ‘un craxiano’.”

Quando viene ucciso è Presidente dell’associazione lombarda dei giornalisti: rappresenta la corrente riformista che è osteggiata all’interno dello stesso “Corriere della Sera”. La sera prima di morire, il 27 maggio 1980, Tobagi presiede un incontro al circolo della stampa di Milano. Parla delle responsabilità di chi scrive di fronte all’offensiva delle bande terroristiche e si chiede ‘chissà a chi toccherà la prossima volta’. Aveva trentatré anni, una moglie e due figli piccoli.

Quando penso a Walter Tobagi ripenso al Parini, il liceo classico che ho frequentato e che mi ha permesso di conoscere la storia di una figura ancora troppo poco nota ai più giovani” – così lo ricorda sulla sua pagina facebook un altro socialista milanese, l’ex ministro Claudio Martelli. “Un martire del giornalismo e del sindacato italiano, ucciso a soli 33 anni il 28 maggio 1980 per mano di terroristi di estrema sinistra. La sua colpa era quella di essere fuori dal coro, si potrebbe ridurre a uno slogan. Perlomeno di un certo coro.”

La memoria di Walter Tobagi resta viva grazie anche al contributo fondamentale della figlia Benedetta, che aveva solo tre anni quando il padre viene assassinato e che di lui conserva solo alcuni fotogrammi di ricordi. Una volta cresciuta ha deciso di andare alla scoperta di questo padre immensamente amato e gli ha dedicato il libro dal titolo “Come mi batte forte il tuo cuore. Storia di mio padre” (Einaudi 2009), in cui ha ricostruito tutte le fasi della sua vita andando a raccogliere ogni sua traccia scavando fra le carte pubbliche e professionali come fra quelle più intime e private, fra i libri letti e annotati, gli articoli, le pagine del diario, le lettere sentimentali.

Sebastiano Catte, com.unica 28 maggio 2020