Un ricordo del grande inviato e scrittore a 15 anni dalla morte

Il 28 luglio 2004 si spegneva ad Orsigna, Pistoia, Tiziano Terzani, giornalista e scrittore. Corrispondente dall’Asia per il settimanale tedesco Der Spiegel dal 1975 al 1987, collaborò anche con l’Espresso, il Corriere della Sera e La Repubblica.

Trenta anni trascorsi in Asia tra Singapore, Saigon, Hong Kong, Pechino, Tokyo, Bangkok e New Delhi.

La sua vita e le sue testimonianze in dieci libri, in scatole e scatoloni di cartone pieni di materiale raccolto durante i suoi viaggi e nei numerosissimi taccuini su cui prendeva appunti e annotava interviste. E diari, tanti diari, in cui riversava i pensieri, le aspettative, le delusioni.

Nel 1975 si trovava a Saigon, quando entrarono i carri armati dei ribelli vietcong a liberare la città e fu uno dei pochi giornalisti a rimanervi ancora tre mesi dopo la presa del potere delle forze comuniste.

Un amore sconfinato per la Cina lo portò a studiarne la storia, la cultura e la lingua presso la Stanford University in California e la Columbia University a New York. Ispirato dagli scritti di Edgar Snow, il giornalista americano amico di Mao Tse Tung, e incuriosito dai piani economici e sociali del Grande Timoniere, nel 1980 ottenne dal governo di Pechino di aprire una sede di corrispondenza in quella città. Presto si accorse della politica fallimentare del governo cinese, della povertà e della paura in cui versava la popolazione, dei milioni di morti, delle epurazioni, dei campi di rieducazione, degli echi non ancora sopiti della Rivoluzione Culturale, che aveva distrutto ogni forma di cultura, soprattutto quella più antica. Scrisse numerosi articoli che inviò puntualmente al Der Spiegel, finché nel 1984 venne fermato e trattenuto dalla polizia cinese, con l’accusa di aver offeso Mao e di trafficare in antichità. Gli sequestrarono il passaporto e gli imposero di scrivere un’autocritica in cui ammetteva i suoi crimini. Dopo un mese fu espulso dalla Cina. Nonostante tutto lascerà il cuore in quel Paese.

Poi ci furono Tokyo, le Filippine, la depressione che non lo abbandonerà mai completamente e nel 1990 Bangkok. Nel 1991 durante una spedizione sul fiume Amur venne a sapere della caduta del comunismo in Unione Sovietica. Allora scese dalla nave e attraversò l’Asia Centrale e la Russia fino a Mosca per essere testimone di questo grande cambiamento. Durante il viaggio vide cadere, abbattute, le statue di Lenin e assistette al diffondersi della religione islamica, ultimo baluardo degli emarginati, degli indigenti, dei proletari. Quello stesso anno l’Onu mise sotto la propria protezione la Cambogia, una nazione che Terzani aveva amato, ormai stremata, sofferente e profondamente traumatizzata. Nel 1993 a 55 anni iniziò un viaggio attraverso l’Asia, della durata di un anno, che fu un po’ un viaggio dentro sé stesso, alla scoperta di un mondo più intimo, scandito dalla lentezza dei viaggiatori di un tempo, dai ritmi stabiliti dal sole che sorge e tramonta. Un moderno esploratore che non smise mai di svelare i cambiamenti inesorabili di un mondo che si lasciava dietro le spalle il passato, ormai offuscato dalle automobili e dalle luci al neon nei locali. Un mondo che andava modernizzandosi ma che non rinunciava ai riti, alla sacralità, agli indovini, figure immancabili che aiutavano i popoli dell’Asia a superare le ambasce quotidiane.

E ancora, nel 1997, il subcontinente indiano, con i suoi tricicli a motore, gli autobus, i camion, le moto, gli altoparlanti con i richiami dei muezzin e la Coca-Cola. Lasciò il lavoro al Der Spiegel, con in mente altri progetti, ma arrivò la diagnosi terribile di linfoma allo stomaco. Non volle perdersi la decolonizzazione di Hong Kong, che venne restituita alla Cina, un evento che visse con grande emozione. Partì alla volta di New York per curare il cancro, ma non si fece illusioni. Poi il ritorno in India, la ricerca di cure alternative.

Studiò i classici indiani, rinunciò al suo nome, si fece chiamare Anam, il Senzanome. Infine si stabilì sulla vetta del Binsar, a 2300 metri di altitudine, di fronte all’Himalaya. Qui si sentì finalmente di essere parte dell’universo. Nel 2002 la prognosi che non vivrà ancora a lungo. Tornò ad Orsigna, nella casa in pietra che aveva costruito con la moglie Angela e si rifugerà nella gompa, una capanna in legno coloratissimo che aveva visto sull’Himalaya e che aveva riprodotto identica, addobbata di immagini tibetane, sul letto quella di Mahakala, il Grande Nero, simbolo della morte, versione buddhista del dio indù Shiva.

Tiziano Terzani si è spento a 66 anni. Fino alla fine dei suoi giorni ha ricercato il senso della vita, della natura umana, della malattia e della sofferenza. Alto, elegante nella semplicità delle sue vesti di lana bianca, un grande saggio in bilico tra il mondo moderno e quello antico, uno studioso di induismo, buddhismo e misticismo islamico, un grande giornalista, che ha saputo raccontare con sguardo attento e curioso l’Asia, amandola in tutti i suoi aspetti e contraddizioni.

Nadia Loreti, com.unica 28 luglio 2019