Il 30 dicembre 1970, moriva in circostanze misteriose Sonny Liston, al secolo Charles L. Liston, boxeur statunitense, campione mondiale dei pesi massimi dal 1962 al 1964, sicuramente uno dei più grandi pugili di tutti i tempi. Vantava 54 incontri disputati, 50 vittorie per KO, 4 sconfitte.

Era nato in una famiglia povera che non aveva neppure registrato la sua nascita, tra il 1925 e il 1932, tredicesimo figlio delle seconde nozze del padre, un mezzadro che coltivava cotone nell’Arkansas. In tutto venticinque figli, niente scuola, niente da mangiare, pochi vestiti cenciosi, tanto lavoro e tante frustate. Sonny Liston non aveva avuto una vita facile e ne portava i segni sulla schiena.

Era un uomo molto forte, 1,84 di altezza, 98 kg, un collo che misurava 52 centimetri di circonferenza e un pugno che ne misurava 39. Sul ring indossava guantoni su misura, confezionati apposta per le sue mani poderose. Un grande picchiatore che nei matches usava una tecnica semplice ma efficace, combinata nonostante la lentezza dei movimenti a un buon gioco di gambe, che gli permetteva di usare entrambe le mani, partendo con il destro che preparava la strada alla violenza del gancio sinistro. Pugni alti che costringevano l’avversario a scoprirsi. Colpi precisi e potenti che scaraventavano molto spesso gli avversari fuori dalle corde del ring. La sua ascesa nella storia della boxe fu clamorosa e in pochi mesi tra il 1958 e il 1960 sconfisse i principali aspiranti al titolo mondiale.

Fu protagonista dell’età d’oro della boxe, quando a dettarne le regole era la Mafia. In quel periodo a dominare era il gioco esagerato, senza regole, dove erano di prassi gli incontri truccati e le scommesse. L’ambiente del pugilato era frequentato da gente losca e le indagini ufficiali avevano riscontrato la collusione di Liston con l’ambiente malavitoso vicino a John Vitale. Secondo i rapporti dell’FBI, Liston alternava l’attività di pugile con quella di guardaspalle di gangster mafiosi, nonché di esattore e “sfasciateste” per conto del sindacato edile.

Una vita sregolata in cui finì in carcere per diciannove volte e collezionò duecentoquaranta denunce. Uomo taciturno, dall’aspetto truce sul ring, nella vita di tutti i giorni era comunicativo, amava i bambini e si occupava dei poveri e dei più deboli. Nonostante tutto, non piaceva alla stampa del tempo, che ne esasperava l’aura criminale. Partecipò a marce per i diritti civili dei neri, fu accolto alla Casa Bianca dal Presidente Lyndon Johnson, ma non piaceva ai neri e i bianchi si sentivano comunque minacciati da quello che rappresentava. Era un campione che nessuno voleva, un re con lo scettro da ex galeotto.

Memorabili furono i due incontri con Muhammad Alì: nel primo, nel 1964, perse il suo titolo di campione dei pesi massimi; nel secondo, nel 1965, cadde a terra dopo un pugno dell’avversario, chiamato dagli osservatori “ tha phantom punch”, il pugno fantasma. L’incontrò passò alla storia, perché Liston rimase a terra ai piedi di un Muhammed Alì infuriato che lo insultava. La stampa si scatenò, nessuno avrebbe mai pensato che Liston potesse essere sconfitto da un esordiente e si parlò di incontro combinato. Iniziò il declino di un Sonny Liston avanti con gli anni, appesantito, che frequentava sempre di meno la palestra. Possedeva una Cadillac rosa e una villa a Las Vegas color verde acquamarina con campo da golf, in un sobborgo di bianchi, vicino a divi di Hollywood e dirigenti di Casinò. In questa villa fu trovato morto i primi di gennaio del 1931 da sua moglie che si era recata in visita ad alcuni parenti e che per giorni aveva tentato invano di chiamarlo. La morte fu fatta risalire al 30 dicembre per overdose di eroina. Ma Sonny Liston aveva terrore degli aghi e non li avrebbe mai usati per iniettarsi droga. Un mistero la sua morte e tante le ipotesi. La più accreditata è che fosse stato eliminato dalla mafia, perché sapeva troppo o perché non aveva soddisfatto un accordo, o semplicemente per questioni legate allo spaccio di droga.

Sonny Liston è morto in un giorno sconosciuto, per motivi sconosciuti, ad un’età sconosciuta. Portandosi dietro il peso di una vita sofferta e sregolata. Il suo corpo è sepolto nel Paradise Memorial Garden di Las Vegas e sulla sua tomba c’è una semplice scritta: “A Man”, Un Uomo.

Bellissima la canzone che racconta la sua vita, dedicatagli nel 2004 da Mark Knopfler, storico leader dei Dire Straits, Song for Sonny Liston.

Nadia Loreti, com.unica 30 dicembre 2018