Erano le 22.15 dell’11 agosto del 1956, quando la Oldsmobile di Jackson Pollock uscì fuori di strada a causa dello stato di ubriachezza in cui si trovava. Morì sul colpo, a due chilometri dalla sua abitazione, e con lui perse la vita un’amica che viaggiava con lui, Edith Metzgerun, mentre la donna con cui aveva una relazione, l’artista Ruth Kligman, rimase gravemente ferita ma sopravvisse. Pollock aveva 44 anni e aveva lottato per tutta la vita con l’alcool.

Jackson Pollock, artista statunitense tra i più interessanti del suo tempo, iniziò la sua carriera nel 1929 a New York e si fece ben presto promotore di un nuovo modo di fare arte, l’action painting, la pittura d’azione degli espressionisti astratti. Una dirompente innovazione nel linguaggio e una reinterpretazione dello spazio pittorico, catapultandosi oltre i confini cubisti entro i quali era stato definito il mondo all’inizio del secolo. Questo capovolgimento coincise con lo spostamento della spinta propulsiva della ricerca artistica dell’avanguardia europea contemporanea da Parigi a New York, di cui egli colse la vena astrattista e surrealista. La sua formazione avviene con il pittore realista Thomas Hart Benton, da cui impara a disarticolare la prospettiva e il ritmo compositivo, rendendolo fortemente sintetico. E’ nel laboratorio sperimentale del muralista messicano David Alfaro Siqueiros, famoso per il suo realismo sociale e i murales dedicati alla storia del Messico, che impara a dipingere con la pistola a spruzzo e il nebulizzatore, usando per lo più colori sintetici. Contemporaneamente inizia a risentire degli influssi dell’automatismo della scrittura-pittura di André Masson, pittore francese, esploratore del mondo irrazionale, della violenza espressiva di Picasso, della mancanza di schemi di Mirò. Abbandona gradualmente il figurativo per avventurarsi in un territorio informale, in cui l’immaginario astratto era reso attraverso un intenso ritmo gestuale. Questa intensa agitazione veniva espressa attraverso la tecnica del dripping (in italiano sgocciolatura): tele di grandi dimensioni venivano posate a terra per diventare il campo di azione, l’action painting, in cui con sgocciolature, spruzzature e lanci di colore, attraverso pennelli, bastoni, siringhe da cucina e secchi traforati, veniva data vita ad un’opera, espressione assoluta di uno stato interiore, estensione diretta dell’Io dell’artista, luogo psichico cosciente, territorio di passioni e di pulsioni. I residui delle forme, deboli figure stilizzate e appena accennate, pian piano iniziano a sparire sotto le linee, le tracce, gli schizzi di un mondo interiore ormai indifferente alla tradizione. Più del risultato conta il gesto e l’energia vitale che si riversa sulla tela, carica di impeto e colori violenti.

La pittura d’azione, anticipatrice di successive manifestazioni artistiche come lo happening, in Italia ha degli eredi, come ad esempio,il giovane pittore Giovanni Guida, e il maestro Luigi Centra, ciociaro di adozione, che dall’esperienza della Pop Art americana è approdato al dripping, attraverso una maturazione stilistica, già negli anni ‘60/70, realizzando opere ipnotiche e seduttive, muovendosi con esplosioni di colore e intrecci di linee. Il calore dei gialli e dei rossi alternati a campiture bianche tagliate dalla cupezza drammatica dei colpi del colore nero che si stempera lentamente nel grigio. Il pittore, quindi, centro dell’opera e la tela il luogo estetico in cui il pathos diventa energia pura da trasmettere. I movimenti caotici della mano, una convulsa fisicità, una pittura violenta e cromaticamente decisa sono gli ingredienti della pittura del maestro Luigi Centra, dove le figure accennate e primitive vengono progressivamente annullate dai riflessi interni di uno spirito guerriero che intreccia la propria energia vitale con le forze della natura.

Nadia Loreti, com.unica 11 agosto 2018