Lo scrittore israeliano dalla parte di Geremia e dei fustigatori del potere (da La Stampa)

«E direte loro: così dice il Signore, ecco che riempio di ubriachezza tutti gli abitanti di questa terra e i re che siedono sul trono di Davide e i sacerdoti e i profeti e tutti coloro che dimorano a Gerusalemme» (Geremia 13, 13). Nella cultura d’Israele c’è una costante profonda, anche affascinante, di indignazione spietata, metodica e talora pure violenta nei confronti del potere, dei sovrani. In questo contesto si innestano il profeta Samuele che accusa gravemente re Saul, Nathan che dice a re Davide delle cose molto pesanti, e naturalmente Geremia, ma di fatto a questo proposito non c’è soluzione di continuità: si arriva sino a scrittori ebrei contemporanei quali Bialik, Brenner e Yizhar e da loro all’attualità del nostro presente. 

Geremia profetizza distruzione e catastrofi vuoi perché la gente ha costruito case «nell’ingiustizia» e «senza diritto» vuoi anche perché è atterrito alla vista di quella insanità mentale che lui definisce «ubriachezza»: lo spaventa vedere un popolo pacifico e un regno pacifico correre così a sbattere la testa con il muro di Babilonia.  «Attenti!» dice il profeta alla sua gente, ai suoi contemporanei. Un popolo piccolo non deve neanche provarci, a comportarsi come se fosse una grande potenza: quando si è a cavallo di una motoretta sull’autostrada della storia, dice Geremia, bisogna evitare di guidare come se si fosse al volante di un Tir. Fate attenzione ad accusare i vostri capi in Babilonia, a far conto sull’Egitto, ad andare contro tutto il mondo. 

Ai contemporanei di Geremia non piaceva affatto ascoltare queste cose: si imbufalivano moltissimo con lui, i gangli del potere ribollivano di rabbia, gli irriducibili sempre pronti a rinfacciare imprecavano contro quel traditore di Geremia, i prefetti finirono col rinchiuderlo nel cortile della prigione, così che stesse zitto una buona volta, che la piantasse di abbattere l’umore nazionale, di fare il gioco del nemico, quinta colonna che non era altro.  Non di rado coloro che hanno qualcosa da rimproverare al re, ai principi, ai profeti e al popolo vengono definiti «traditori» dalla maggioranza della propria gente e da chi la governa. Data una rapida occhiata a quella categoria lì, di quelli che sono sempre pronti a puntare il dito, nella Gerusalemme di duemila anni fa e più, di coloro che ce l’avevano con il profeta Geremia, mi sono sentito proprio a casa… 

«Chi è il traditore?» è una domanda che mi turba sin da quando ero bambino. Sono stato chiamato «traditore» tante di quelle volte, in vita mia. La prima è successo quando avevo appena otto anni, l’ultima spero che debba ancora venire. «Chi è il traditore?» mi domando. Non sto parlando del traditore banale, come quello che lavora in una fabbrica e in cambio di denaro vende segreti di produzione a una ditta concorrente. Non sto neanche parlando del traditore adultero, colui o colei che fa le corna alla persona che ama.  Sto parlando del terzo tipo di traditore. Perché talvolta, agli occhi di coloro che non cambiano e non sopportano il cambiamento, che non capiscono il cambiamento, che hanno una paura tremenda del cambiamento, che odiano coloro che cambiano, il traditore è semplicemente la persona che cambia, che è capace di cambiare. Pensate alla storia del popolo ebraico nell’epoca moderna. Benjamin Theodor Herzl, che fu pronto a soppesare la possibilità di fondare lo Stato ebraico in Uganda invece che in Terra d’Israele, almeno temporaneamente, perché la Terra d’Israele gli sembrava irraggiungibile mentre la questione ebraica la considerava improrogabile: allora non pochi convinti sionisti consideravano Herzl un traditore. E David Ben Gurion, quando nell’autunno del 1947 diede parere favorevole alla spartizione della nostra patria in due patrie separate, una per gli ebrei e una per i palestinesi: in molti lo chiamarono traditore. Anche Menachem Begin, quando andò incontro a Sadat e si dichiarò disposto a restituire all’Egitto tutto il Sinai, in cambio dell’accordo di pace. E Itzhak Rabin e Shimon Peres con gli accordi di Oslo: Rabin pagò addirittura con la vita, per il proprio coraggio. 

Allora a volte mi domando: quale club è più rispettabile? Quello i cui soci sono coloro che talvolta vengono definiti «traditori» dai propri contemporanei, o quello di coloro che nessuno ha mai chiamato «traditori»? Quello di Geremia o quello dei cosiddetti «profeti menzogneri»? Quello dei populisti che cantano sempre qualcosa che li possa portare in testa al corteo pubblico della politica? Amore e rabbia, amore e riprovazione, amore e profezia funesta, non sono degli opposti. Ogni tanto, solo ogni tanto, il traditore è colui che ama veramente. «Fedeli sono le ferite di chi vuol bene» (Proverbi 27, 6).

Amos Oz, La Stampa 21 giugno 2018