Con un’economia globale sempre più legata a Internet e alle tecnologie digitali, diventano sempre più necessarie nuove regole condivise. L’analisi di un Nobel per l’Economia e di un manager finanziario.

La recente rivelazione che un’applicazione ha prelevato oltre 50 milioni di profili Facebook per consegnarli alla società di consulenza politica Cambridge Analytica ha prodotto reazioni negative contro la piattaforma. Ma questo è solo l’ultimo esempio dei rischi associati a Internet, che costituisce il nucleo dell’odierna rivoluzione digitale.

La maggior parte delle innovazioni digitali che hanno ridisegnato l’economia globale negli ultimi 25 anni si basa sulla connettività di rete, che ha trasformato commercio, comunicazione, istruzione e formazione, supply chain e molto altro. La connettività consente inoltre l’accesso a una vasta quantità di informazioni, incluse quelle alla base dell’apprendimento automatico, essenziale per l’attuale intelligenza artificiale.

Negli ultimi 15 anni circa, Internet mobile ha rafforzato questa tendenza, favorendo non solo il rapido aumento del numero di persone ad esso connesse, e quindi in grado di partecipare all’economia digitale, ma anche la frequenza e la facilità con cui ci si può connettere. Dalla navigazione GPS alle piattaforme di condivisione dei viaggi ai sistemi di pagamento mobile, la connettività in movimento ha avuto un impatto di vasta portata sulla vita e la sussistenza delle persone.

Per anni, è stata opinione diffusa che un Internet aperto – con protocolli standardizzati ma pochi regolamenti – sarebbe stato naturalmente al servizio dei migliori interessi di utenti, comunità, paesi, economia globale. Ma sono emersi rischi importanti, tra cui il potere di monopolio per mega-piattaforme quali Facebook e Google; la vulnerabilità agli attacchi nei confronti di infrastrutture critiche, compresi i sistemi del mercato finanziario ed i processi elettorali; e minacce alla privacy e alla sicurezza dei dati e della proprietà intellettuale. Rimangono aperte inoltre domande fondamentali riguardo all’impatto di Internet su appartenenza politica, coesione sociale, consapevolezza e coinvolgimento dei cittadini, e sviluppo dell’infanzia.

Mentre Internet e le tecnologie digitali penetrano più profondamente all’interno di economie e società, tali rischi e vulnerabilità diventano sempre più acuti. E, finora, l’approccio predominante in Occidente per gestirli – l’autoregolamentazione da parte delle aziende che forniscono i servizi e possiedono i dati – non sembra funzionare. Non ci si può aspettare che le piattaforme principali rimuovano contenuti “discutibili”, ad esempio, senza linee guida da parte delle autorità di regolamentazione o dei tribunali.

Detto questo, sembra che ci troviamo di fronte ad una nuova transizione, dall’Internet aperto del passato ad un soggetto a più ampio controllo. Ma questo processo comporta i suoi rischi.

Sebbene vi siano ottime ragioni per una cooperazione internazionale, un tale approccio sembra improbabile nell’attuale clima di protezionismo e unilateralismo. Non è nemmeno chiaro se i paesi riusciranno ad accordarsi su trattati per la messa al bando delle guerre cibernetiche. Anche se si trovasse una parvenza di cooperazione internazionale, gli attori non statali continuerebbero a comportarsi da spoiler o, peggio.

In questo contesto, sembra probabile che in larga misura saranno i singoli Stati ad avviare nuovi regolamenti, i quali dovranno rispondere a domande difficili. Chi è responsabile – e tenuto a rispondere – della sicurezza dei dati? Lo stato dovrebbe avere accesso ai dati degli utenti e a quali scopi? Gli utenti potranno mantenere l’anonimato online?

Le risposte dei paesi a tali domande variano ampiamente, a causa delle differenze fondamentali riguardo a valori, principi e strutture di governance. Ad esempio, in Cina, le autorità filtrano i contenuti ritenuti incompatibili con gli interessi dello stato; in Occidente, al contrario, non esiste un’ ente con un’autorità legittimata a filtrare i contenuti, tranne in casi estremi (ad esempio, incitamento all’odio e pornografia infantile). Anche nelle aree in cui sembra esserci un certo consenso – come l’inaccettabilità della disinformazione o l’intromissione straniera nei processi elettorali – non vi è accordo sui rimedi appropriati.

La mancanza di consenso o cooperazione potrebbe portare all’emergere di frontiere digitali nazionali, che non solo inibirebbero i flussi di dati e informazioni, ma ostacolerebbero anche gli scambi, le catene di approvvigionamento e gli investimenti transfrontalieri. Già, la maggior parte delle piattaforme tecnologiche statunitensi non può operare in Cina, perché non possono o non vogliono accettare le regole delle autorità per quanto riguarda l’accesso dello stato ai dati e al controllo sui contenuti.

Nel frattempo, gli Stati Uniti hanno impedito alla società cinese Huawei di investire in startup di software, per fornire apparecchiature di rete a operatori wireless, e (insieme a ZTE) vendere telefoni cellulari nel mercato statunitense, a causa dei presunti legami dell’azienda al governo cinese. Sia Huawei che ZTE sostengono che le loro attività sono puramente commerciali e che rispettano le regole ovunque operino, ma i funzionari statunitensi continuano a insistere sul fatto che le società rappresentano un rischio per la sicurezza.

Al contrario, quasi tutti i paesi europei, incluso il Regno Unito, sono aperti nei confronti di Huawei e ZTE, entrambi principali attori in Europa. Tuttavia, l’Europa sta creando le proprie barriere, con nuove regole su protezione dei dati e privacy che potrebbero ostacolare l’applicazione di apprendimento automatico. A differenza della Cina e degli Stati Uniti, l’Europa non è ancora sede di mega-piattaforme tipo quelle che stanno aprendo la strada ad innovazioni di apprendimento automatico.

Con l’intera economia globale che diventa inestricabilmente legata a Internet e alle tecnologie digitali, regolamentazioni più forti divengono più importanti che mai. Ma se tali regolamentazioni risultano frammentate, goffe, pesanti, o incoerenti, le conseguenze per l’integrazione economica – e, a sua volta, per la prosperità – potrebbero essere gravi.

Prima che il mondo adotti soluzioni inefficaci o controproducenti, i responsabili delle politiche dovrebbero riflettere attentamente sul modo migliore per affrontare la regolamentazione. Se non è possibile accordarsi su ogni dettaglio, forse almeno lo è identificare una serie di principi condivisi che possono costituire la base di accordi multilaterali che vietino attività distruttive come l’abuso di dati, contribuendo così a preservare un’economia globale aperta.

Michael Spence, Fred Hu –  Project-Syndicate marzo 2018

* Michael Spence è un economista statunitense, insignito del Premio Nobel per l’economia nel 2001 insieme a Joseph E. Stiglitz e George A. Akerlof per le loro analisi dei mercati con informazione asimmetrica. Oggi insegna alla New York University. Fred Hu è presidente del Primavera Capital Group e membro del Berggruen Institute’s 21st Century Council.