Fu una scintilla quel Passato che non vuole passare di Ernst Nolte, pubblicato il 6 giugno ’86 sulla liberale ‘Frankfurter Allgemeine Zeitung’; una scintilla che accese le discussioni della cultura europea, divampate allora forse per l’ultima volta nell’estate di trent’anni fa. Ne derivò l’Historikerstreit, la controversia tra gli storici, che la ‘New York Review of Books’ del 17 gennaio ’87 definì più pragmaticamente la ‘guerra’ degli storici tedeschi. Non era allora giuridicamente morto lo Stato nazionale, non era ancora nata l’unione europea, e non era ancora caduto il muro di Berlino; dunque tutto l’apparato politico sovietico e ideologico marxista era attivo e reattivo. E Nolte, allievo di Heidegger, già ben noto per i suoi studi sul fascismo europeo, la guerra fredda, e la rivoluzione industriale, ancora insegnava.

Cosa conteneva di tanto incendiario quell’articolo? «L’Arcipelago Gulag – aveva scritto Nolte – non precedette Auschwitz? Non fu lo ‘sterminio di classe’ dei bolscevichi il prius logico e fattuale dello ‘sterminio di razza’ dei nazionalsocialisti?». Nolte, si noti, non indicava con ciò una precedenza semplicemente cronologica del 1917 rispetto al 1933, ma un ‘nesso causale’ tra il ‘precedente’ bolscevico e un susseguente effetto nazionalsocialista.  Con cui il nazionalsocialismo veniva visto come fenomeno reattivo al male, e certo nel male; ma come una delle manifestazioni del male, non più come l’unica. E già questo era un problema: se infatti gli stermini praticati dai nazionalsocialisti non erano più gli unici, venivano allora ‘relativizzati’? Nolte non aveva affatto negato una pratica di sterminio; piuttosto ne aveva denunciate due, una sola delle quali pero’ storicamente condannata. Ma con ciò, il male non era più assoluto? Evidentemente Nolte aveva infranto il grande tabù del dopoguerra: il divieto di ‘comparabilità’ tra i due tragici totalitarismi del ’900, alla luce dei genocidi da entrambi compiuti (per giunta prima dai comunisti). Questa dunque la inaccettabile violazione del canone.

Disincagliava la Germania dalla sua colpa? Passo’ più di un mese prima che l’11 luglio sul ‘Zeit’ rispondesse acremente uno dei maggiori esponenti della cultura europea di sinistra, Juergen Habermas, con l’articolo Una sorta di risarcimento danni, vedendo in Nolte il rappresentante delle «tendenze apologetiche della storiografia tedesca », accusandolo di neo revisionismo liquidatorio di giudizi etico-morali sul passato tedesco e, senza entrare nel merito delle questioni sollevate da Nolte, di oscuri progetti politici: fondare un nuovo partito nazionale-conservatore, essere a servizio della Nato per assolvere il passato tedesco rivendicando ruolo e potenza della Germania contemporanea ecc.  Nelle settimane seguenti intervennero con articoli e lettere ai direttori di vari quotidiani tedeschi, numerosi altri storici, da Fest a Hildebrand, da Jaechel a Mommsen, a Hillgruber, sia pro che contro Nolte. Una discussione che se manifestò reazioni a tratti isteriche, aprì prospettive nuove e coraggiose: perché dimenticare tra le vittime le popolazioni civili (donne, anziani e bambini) della Germania orientale travolta dall’avanzata dell’Armata rossa? E perché non dire che la guerra, anziché esser sempre stata ‘antifascista’, aveva avuto il suo esordio all’insegna dell’alleanza tedescosovietica (1939-1941)? Nolte non a caso aveva ricordato come prima del 1945, mai i vincitori avessero «controllato il passato dei vinti in maniera così completa».

E tornarono dunque a intervenire anche i due maggiori protagonisti della controversia. Habermas accuso’ ulteriormente Nolte di aver dato il via alla «politica del pareggiamento» tra i due regimi, e di trasposizione politica del revisionismo «caldeggiato con impazienza dai politici del governo della svolta» (accusando con ciò anche la politica estera dell’allora cancelliere Kohl e la sua particolare sensibilità per la questione del peso sul presente del tragico passato tedesco); Nolte non rispose ad Habermas, dato che non era entrato nel merito delle questioni sollevate, scegliendo di integrare e correggere le sue posizioni, accettando alcune critiche ad esempio sulla ‘connessione’ non più diretta ma mediata del rapporto tra Gulag e Auschwitz. 

La questione dell’incidenza del passato storico sulla politica contemporanea coinvolse altri intellettuali europei. Furet dopo la pubblicazione del Passato di un’illusione (1995) avrebbe scritto a Nolte riconoscendogli il coraggio intellettuale per aver superato il «divieto di paragonare comunismo e fascismo», che inevitabilmente avrebbe creato «troppi problemi essenziali per l’intelligenza del XX secolo». Mentre De Felice, parimenti plaudendo al grande coraggio di Nolte, si trovò in contrasto con la tesi ‘reattiva’ del fascismo al comunismo, cogliendo nel fascismo una forte componente di sinistra, propriamente eversiva, antiborghese, antiliberale e antiparlamentare. La disputa continuava fuori dagli schemi del politically correct.  Comprensibili le reazioni pavloviane al solo discutere di dogmatica ideologica. Se si attenta al dogma, ci dev’essere un disegno politico sottostante; il coraggio della ricerca della verità fine a se stessa e dunque della libertà di ricerca è inconcepibile.

Paolo Simoncelli, AVVENIRE, 9 luglio 2016