L’annuncio è stato dato ieri al Cipriani Wall Street di New York nel corso di una cerimonia speciale: l’«Osteria Francescana» di Modena dello chef Massimo Bottura ha ottenuto il prestigioso riconoscimento quale miglior ristorante del mondo per il 2016. È il verdetto del “Worlds 50 Best Restaurant”, la speciale classifica ideata quattordici anni fa dalla rivista inglese “Restaurant”, considerata un po’ la bibbia della gastronomia mondiale, un titolo che contende alla guida Michelin. Il ristorante modenese si era sempre classificato nelle primissime posizioni negli ultimi anni e solo nell’edizione del 2015 è andato a un passo dalla conquista dello scettro, piazzandosi al secondo posto. Altri tre ristoranti italiani sono entrati nella graduatoria dei primi 50 migliori del mondo, a conferma dell’eccellente stato di salute della cucina made in Italy: al diciassettesimo posto “Piazza Duomo” di Enrico Crippa ad Alba, al trentanovesimo “Le Calandre” dei fratelli Alajmo a Rubano e al quarantaseiesimo il “Combal Zero” di Davide Scabin a Rivoli.

Bottura, visibilmente emozionato e avvolto da una bandiera italiana, ha dedicato la vittoria alla moglie Lara Gilmore e alla sua squadra di lavoro. Prima della partenza per New York lo chef aveva voluto sottolineare proprio l’importanza del concetto di squadra come condizione necessaria per arrivare ai traguardi più ambiziosi: “Mi raccomando – ha detto ai suoi collaboratori – qualsiasi cosa succeda, tenete alto il morale perché per noi la cosa più importante è la squadra: bisogna sempre lavorare allo stesso modo, che sei primo o che sei decimo».

L’Osteria Francescana, aperta nel 1995, è considerata un po’ la casa della cibo italiano contemporaneo, un modello per tutti di cucina “cosmopolita” aperta all’innovazione ma con un solido retroterra ancorato ai prodotti del territorio e alla cultura propria della provincia italiana. Non a caso per Bottura un grande ristorante è da intendersi come una sorta di bottega rinascimentale, dove si fa formazione (dall’Osteria sono usciti già tre chef stellati) e cultura tout court. “Facciamo cultura – ha spiegato in una recente intervista alla “Stampa” – perché da sempre la cultura è anche quella che si mangia, come sapeva Mario Soldati quando, nel suo viaggio sul Po, spiegava che per capire a fondo quella di un luogo bisogna per prima cosa andare al mercato”. “Un concetto – ha aggiunto – che in Italia hanno capito solo dopo altri paesi come il Messico, il Brasile o il Perù, oppure quelli del Nord Europa. Sembra paradossale, ma oggi la cucina peruviana è un punto di riferimento e Copenhagen una capitale della gastronomia”. Il suo mito è sempre stato un grande classico della storia della gastronomia: Pellegrino Artusi. “Il suo libro è meraviglioso – ha sottolineato – perché le ricette arrivano, diciamo così, dal basso. Non le ha inventate, le ha raccolte. È la cucina del popolo italiano che lui ha provato, messo a punto, codificato. La vera grande tradizione”.

(com.unica, 15 giugno 2016)