L’Unione è una fede e i media ogni giorno recitano il «credo». Quanto ci manca la studiosa che nel ’97 già criticava Bruxelles…

I giornali, soprattutto quelli che rivendicano l’oggettività, traboccano di cronache sbilanciate in tema di Europa. Tonnellate di articoli deprecano qualunque fatto o persona o movimento metta in discussione, anche alla lontana, l’Unione europea. La fiducia sconfina nella fede e i media recitano il «credo». Anche se cresce la sensazione che i trattati siano stati una fregatura: non ci sentiamo tutti più poveri, meno liberi e meno sicuri? Non importa.

Chi disapprova le politiche sull’immigrazione è sospettato di razzismo e xenofobia. Chi vorrebbe dire addio a Bruxelles è un populista. Chi segnala il deficit di democrazia nelle istituzioni comunitarie fa il gioco degli (s)fascisti. Insomma: su questo argomento, come su quello correlato dell’accoglienza indiscriminata, il dibattito è sgradito. Per questo, si sente la mancanza di una libera pensatrice come Ida Magli, morta lo scorso 21 febbraio a 91 anni. L’antropologa aveva iniziato una solitaria battaglia contro l’Unione europea negli anni Novanta, dopo avere studiato il Trattato di Maastricht, firmato nel 1992 dai Paesi aderenti all’unione, tra cui l’Italia.

Alla grande antropologa, l’Europa unita sembrava andare in direzione opposta alla storia, soprattutto nel caso dell’Italia, uno Stato ancora giovane, eppure già pronto a rinunciare alla sovranità. Inoltre, osservava la Magli, nel Trattato non c’è spazio alcuno per i popoli ma solo per l’economia. I tecnocrati della finanza e del sistema bancario sono i detentori del potere assoluto perché il Parlamento europeo è irrilevante nella sostanza. Il buon proposito è la pace universale, sulla scia di Kant ma senza tenere conto della realtà. L’obiettivo vero è l’allargamento (non la libertà) dei mercati, fino alla mondializzazione. Il passaggio obbligatorio è l’omologazione dei cittadini in una società di uguali. Ma si può essere uguali anche nella schiavitù…

Si legge in un intervento su Panorama nel 2011 in cui la Magli sintetizzava le sue tesi: «Per creare l’entità politica cui è stato imposto il nome di Unione europea, i governanti hanno dovuto capovolgere la realtà storica mettendo in atto una finzione che passa sopra la testa dei popoli. Una finzione però contemporaneamente smentita dalla necessità di ammettere venticinque lingue diverse come lingue ufficiali dell’Unione. È evidente che laddove non esiste una lingua, non esiste né un popolo né una cultura». E ancora: «Lo scopo dell’operazione Unione europea è proprio quello di distruggere la peculiarità delle singole Nazioni e l’identità dei popoli, obbligandoli a omologarsi con l’eliminazione dei confini territoriali e con l’imposizione di una cittadinanza che, oltre a non rispondere ai contenuti psicologici e affettivi del concetto di patria da cui nasce la cittadinanza, è di per sé invalida dato che l’Unione europea non è uno Stato».

Uguaglianza, dunque. Peccato che la ricchezza dell’Europa sia «proprio quella di possedere al suo interno, formatesi durante un lunghissimo processo storico, in base a scambi, conflitti, invasioni, rivoluzioni, espressioni artistiche diversissime fra loro». Il risultato di quest’opera di ingegneria sociale, cui è funzionale anche l’immigrazione di massa, sarà tragico: «Una rapida agonia culturale, e a poco a poco la sparizione anche fisica di francesi, inglesi, tedeschi, italiani così come di tutti gli altri popoli. Resi debolissimi dalla decomposizione delle Nazioni, perseguita ad hoc dall’Unione europea, saranno presto sopraffatti dalle immigrazioni delle popolazioni africane le quali non hanno bisogno di diventare numericamente maggioranza per dominare coloro che sono stati allenati al pacifismo, alla tolleranza, al rispetto delle diversità, alla rinuncia a qualsiasi giudizio tramite la dispotica censura del politicamente corretto» (cito ancora da Panorama).

Il tema dell’immigrazione, in particolare dai Paesi musulmani, fu affrontato dalla Magli nel 1996, quando uscì il libro-intervista Per una rivoluzione italiana a cura di Giordano Bruno Guerri. «È indispensabile una legislazione rigida per fare in modo che almeno non ne arrivino troppi. Ripeto: gli islamici sono una popolazione forte, con una religione forte, non possono in alcun modo essere integrati nel nostro contesto (come in nessun altro contesto: vedi l’esempio francese), anche se lo volessero, ma naturalmente non lo vogliono. L’integrazione è impossibile già al livello, che sarebbe indispensabile, delle leggi: perché il Corano è un codice sia civile sia religioso». Il prezzo della mancata integrazione, scriveva la Magli sul Giornale nel 2014, lo pagheranno le donne: «Da quanto abbiamo detto sullo statuto delle donne nell’islamismo è facile comprendere come questo rappresenti uno dei pericoli maggiori di disintegrazione per il tessuto della società italiana». Difficile non pensare al capodanno con molestie di Colonia.

Queste idee furono portate all’estremo in pamphlet come Dopo l’Occidente, La dittatura europea o Difendere l’Italia. In quest’ultimo leggiamo: «L’uguaglianza finale non sarà soltanto quella delle idee, della lingua, della religione, della Patria, ma anche fisica. L’uguaglianza che si persegue, però, è il più possibile indistinta, di cui il modello è il trans. Si tratta, dunque, di preparare i giovani a non appartenere a nulla, a non identificarsi in nulla, a non sapere orientarsi sessualmente ma anche geograficamente, come è stato affermato con semplicità eliminando la geografia dagli insegnamenti scolastici: a che servirebbe visto che il pianeta appartiene a tutti?». Strumento per realizzare l’omologazione è il politicamente corretto, di cui la Magli dà una interpretazione originale: «La forma più radicale di lavaggio del cervello che i governanti abbiano mai imposto ai propri sudditi. La corrispondenza pensiero-linguaggio è infatti praticamente automatica. (…) Non sappiamo chi sia stato a ideare un tale strumento di potere per dominare gli uomini e indurli a comportarsi secondo la volontà dei governanti, un’evoluzione terrificante di quella che un tempo si chiamava censura. Terrificante soprattutto perché la censura non è più visibile come tale, nessuno ne è più consapevole: è stata introiettata».

Sono tesi radicali ma franche e controcorrente, come quelle di un’altra grande italiana del Novecento (e oltre): Oriana Fallaci. Non sarebbe il caso di parlarne?

Alessandro Gnocchi, IL GIORNALE, 8 maggio 2016