Protagonista del Maggio del ‘68, fece da punto di contatto tra la generazione di Sartre e i “nuovi filosofi”, che ruppero con il marxismo. 

È morto André Glucksmann. Aveva 78 anni ed è spirato nella notte di lunedì a Parigi.  Il filosofo francese, noto per il suo impegno per i diritti umani, stato in vita il punto di contatto tra la generazione di intellettuali di cui fecero parte nomi come Sartre e Foucault e quella successiva, di quei “nuovi filosofi” che ruppero con il marxismo negli anni Settanta. A dare la notizia della sua scomparsa il figlio Raphaël, che lo ha annunciato con un post su Facebook. “Il mio primo e migliore amico non c’è più – ha detto -. Ho avuto la fortuna incredibile di conoscere, ridere, discutere, viaggiare, giocare, fare tutto e fare niente con un uomo così buono e così geniale.”

Cresciuto negli ambienti ebraici dell’Europa centrale e orientale, figlio di genitori aschenaziti, originari dell’Austria-Ungheria, Glucksmann nacque nel sobborgo parigino di Boulogne-Billancourt. Prese parte ai fatti del Maggio ‘68 da militante maoista. Definì la Francia una “dittatura fascista” su Les Temps Modernes e nel 1975 ottenne un grande successo editoriale con La cuoca e il mangia-uomini: sui rapporti tra Stato, marxismo e campi di concentramento, dove sosteneva che il marxismo non poteva che condurre a un totalitarismo. Alla fine degli anni Settanta insieme con Jean Paul Sartre e l’intellettuale liberale Raymond Aron fece fronte comune per il sostegno ai “boat people”, in fuga dal Vietnam comunista. L’impegno per i diritti umani, infatti, era per Glucksmann una costante a prescindere e contro le prese di posizioni ideologiche, tanto da spingerlo a lanciare un appello per il voto al candidato della destra Nicolas Sarkozy nella corsa presidenziale del 2007, contro un narcisismo “di sinistra” e in rottura con una destra “abituata a nascondere il suo vuoto dietro grandi concetti”. Il totalitarismo in tutte le sue forme era il suo nemico, per battere il quale Glucksmann non esitò a chiedere l’intervento armato in quelle circostanze che esigono uno schieramento militare a difesa dei più deboli. Fu il caso della guerra nel Kosovo nel 1999, che lo vide invocare un attacco contro la Serbia. “Il discorso della guerra” è uno dei suo libri più importanti, in grado di suscitare il dibattito all’interno della sinistra europea sulla giustezza o meno del ricorso alla violenza per fermare un dittatore, come nel caso di Saddam Hussein e dell’intervento in Iraq nel 2003.

Sostenitore dei diritti umani si pronunciò contro l’infibulazione, dichiarando che per gli immigrati non poteva esserci alternativa all’adeguarsi alle leggi dei Paesi dove vivono e mettendo in guardia dai fondamentalismi islamici, che “si appropriano arbitrariamente dei valori della religione e del Corano”.

(com.unica, 11 novembre 2015)