“Chi combatte con i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro.”
— Friedrich Nietzsche

Peter Thiel, imprenditore, filosofo e stratega del potere americano, da tempo non crede più che democrazia e liberalismo siano compatibili. Il suo breve ma intenso saggio Il momento straussiano, oggi pubblicato in italiano da Liberilibri, è una dichiarazione filosofica che scava sotto le rovine della civiltà occidentale e ne denuncia la crisi: quella dell’Illuminismo, della fede nel progresso e nella bontà naturale dell’uomo.

Nel saggio – scritto nel 2007, in piena era Bush – Thiel invoca non tanto una restaurazione conservatrice, ma una rottura con l’ideologia del progresso. Nella sua visione, l’umanità non è naturalmente incline alla pace o alla cooperazione, ma è dominata dalla mimesi violenta teorizzata dal suo maestro René Girard: l’invidia competitiva, l’imitazione che conduce alla rivalità, all’escalation, alla guerra.

“L’uomo è il desiderio di un altro desiderio.”
— René Girard

Questa visione tragica e antropologica si oppone frontalmente all’ottimismo liberale: dove quest’ultimo vede lo sviluppo come emancipazione, Thiel vede l’accumulo di tensione e la necessità del conflitto. La violenza, scrive, non è un’eccezione alla politica, ma la sua condizione originaria. La sua riflessione è ancora più inquietante quando si spinge a immaginare uno scenario di proliferazione nucleare guidato dal desiderio mimetico di potenza: la Bomba non come deterrente, ma come oggetto di desiderio.

In questo senso, Thiel incarna un ritorno del pensiero tragico in politica, non dissimile da quello evocato da Carl Schmitt o Leo Strauss. La sua diagnosi si basa su una consapevolezza brutale: il conflitto è ineliminabile, e ogni tentativo di rimuoverlo — attraverso il diritto internazionale, la diplomazia, il multiculturalismo — è una forma di rimozione, se non di ipocrisia.

“I punti più alti della grande politica sono anche i momenti in cui il nemico viene visto, con concreta chiarezza, come nemico.”
— Carl Schmitt

Nel pensiero di Thiel, come in quello di Strauss, la modernità ha espulso la verità tragica della condizione umana: ha rimosso la religione, ignorato l’inimicizia, idolatrato la ragione e il consumo. Di qui il bisogno di riscoprire i fondamenti: non solo teologici, ma anche antropologici. Se l’Illuminismo ha voluto educare l’uomo, Thiel si domanda: e se l’uomo fosse indomabile? Se il male non fosse ignoranza, ma forza costitutiva?

“Il secolo del suicidio comincia con l’idea che Dio è morto.”
— Albert Camus

Questa posizione non è nostalgia reazionaria, ma consapevolezza strategica. Thiel, come imprenditore e come pensatore, investe sulla convergenza tra tecnologia e sicurezza. Se il mondo è instabile e attraversato dalla violenza, allora chi controlla i dati controlla l’ordine. Il dominio sulle informazioni, sui big data, sul cyberspazio — come quello che esercita Palantir — non è una variante dell’utopia californiana, ma una risposta hobbesiana al caos. Non si tratta più di “libertà”, ma di controllo selettivo: uno stato d’eccezione tecnologico.

“Solo un dio ci può salvare.”
— Martin Heidegger

La democrazia, per Thiel, non è uno strumento universale, ma una forma storica esaurita. In The Diversity Myth (il suo attacco al multiculturalismo) e in questo saggio, egli denuncia l’illusione secondo cui l’uguaglianza e la diversità possano coesistere armoniosamente. La sua è una critica radicale all’ordine liberale, che parte da solide basi teoriche ma si traduce in strategie operative: investimenti, alleanze, scelte geopolitiche. Non è solo pensiero, è potere messo in atto.

“Coloro che promettono il paradiso in terra non hanno mai fatto altro che preparare l’inferno.”
— Karl Popper

In questo senso, Peter Thiel non è un pazzoide ossessionato dalla vita eterna o un freak della Silicon Valley. È una figura di confine tra filosofia e governo, tra teologia e tecnologia, tra strategia e catastrofe. La sua presenza dietro Trump, Vance e l’ideologia dell’“America forte” non è decorativa: è strutturale.

Non è detto che Thiel abbia ragione. Ma liquidarlo come provocatore reazionario significa non capire la posta in gioco. Il suo pensiero, per quanto oscuro e inquietante, è la testimonianza di un’epoca che ha smesso di credere nel futuro, e comincia a esplorare i suoi mostri.

“La civiltà si fonda sul sacrificio: non di uno solo, ma del molti per uno.”

Carlo Di Stanislao, com.unica 25 giugno 2025

*Nell’immagine in alto: dipinto di Charles Gabriel Lemonnier rappresentante la lettura della tragedia di Voltaire, in quel tempo esiliato, L’orfano della Cina (1755), nel salotto di madame Geoffrin a rue Saint-Honoré. I personaggi più noti riuniti intorno al busto di Voltaire sono Rousseau, Montesquieu, Diderot, d’Alembert, Buffon, Quesnay, Richelieu e Condillac.

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