“Mi dicono ch’io sia figlio di cortigiana; ciò non mi torna male; ma tuttavia ho l’anima di un re. Io vivo libero, mi diverto, e perciò posso chiamarmi felice”.
Fu poeta, commediografo, drammaturgo, sferzante penna satirica, consigliere di potenti, talent scout di grandi artisti: Pietro Aretino (Arezzo, 1492 – Venezia, 1556), oggi noto principalmente per i suoi celeberrimi quanto scandalosi Sonetti lussuriosi, è stato, nei fatti, una delle voci culturali più autorevoli del Cinquecento, un intellettuale assai temuto da signori e alti prelati, amico del condottiero Giovanni dalle Bande Nere, del cardinale Giulio de’ Medici, che lo portò a Roma alla corte di Papa Leone X, e di maestri come Tiziano, Raffaello, Parmigianino, che lo ritrassero nelle loro opere e con i quali intratteneva fitte e appassionate corrispondenze epistolari.
Alla poliedrica figura di Aretino, anticipatore (per stessa ammissione di Giorgio Vasari) della storia e critica dell’arte come disciplina autonoma, gli Uffizi dedicano, per la prima volta in assoluto, una grande mostra arricchita da importanti prestiti di musei internazionali.
Pietro Aretino e l’arte del Rinascimento” è il titolo dell’esposizione, che, inaugurata a fine 2019, sarà aperta al pubblico sino al 1° marzo 2020.
Il percorso espositivo raccoglie oltre cento opere tra pittura, grafica, libri a stampa, scultura, arti decorative, che raccontano la vita e lo spirito di Aretino nei luoghi simbolo del Rinascimento, dove egli visse ed esercitò la sua grande influenza sul fervido mondo culturale della prima metà del Cinquecento: la Roma dei papi Medici, la Mantova dei Gonzaga, la Venezia del doge Gritti, la Firenze dei duchi Alessandro e Cosimo I, ma anche Urbino, Perugia, Arezzo, Milano.
La mostra include anche un “cameo” cinematografico: per rendere omaggio alla profonda amicizia tra Aretino e Giovanni dalle Bande Nere, vengono proiettati segmenti del “Mestiere delle armi”, film di Ermanno Olmi dedicato alla figura del grande condottiero mediceo, nel quale l’intellettuale, interpretato dall’attore Sasa Vulicevic, svolge il ruolo di voce narrante e compare in numerose scene.
“Pietro Aretino e l’arte del Rinascimento” si inserisce nell’ampia serie di eventi organizzati dalle Gallerie degli Uffizi e dalla città di Firenze nell’anno 2019 per il cinquecentenario della nascita di Cosimo I ed anticipa, al tempo stesso, le celebrazioni per l’anno di Raffaello.
La mostra è curata da Anna Bisceglia, Matteo Ceriana e Paolo Procaccioli.
Qualche cenno biografico. Pietro Aretino nasce nel 1492 ad Arezzo. Alla sua formazione letteraria e pittorica tra Perugia e Siena segue l’ingresso sulla scena della Roma medicea di papa Leone X al seguito del banchiere e mecenate Agostino Chigi. Sono anni in cui Aretino usa la penna mordace per dare voce alla statua “parlante” di Pasquino, in un peculiare mélange di profetismo e satira politica a tutto campo.
Dopo i soggiorni padani tra il campo di Giovanni delle Bande Nere e la corte mantovana di Federico II Gonzaga, nei primi anni ’20, Aretino si trasferisce definitivamente a Venezia. In favore di questa scelta gioca certamente la rocambolesca vicenda dei Sonetti lussuriosi e la rottura dei rapporti con la Curia di papa Clemente VII, il cui esito drammatico va letto nell’attentato subìto dallo scrittore il 28 luglio 1525.
Dopo il Sacco di Roma del 1527, quando era già stabile in Laguna, egli riesce a integrarsi alla perfezione in un sistema politico e propagandistico che lo vede collaborare con Tiziano e Sansovino alla renovatio urbis del Doge Andrea Gritti. D’altro canto, intuendo le potenzialità offerte dall’industria tipografica veneziana, cambia radicalmente la sua singolare carriera di letterato, a questo punto caratterizzata da un rapporto diretto con l’universo delle arti figurative nei panni di accreditato mediatore fra botteghe e committenti. Così negli anni ’30, forte dell’alleanza con l’editore Francesco Marcolini, Aretino riesce a crearsi un profilo di “segretario del mondo” tributato e temuto ovunque, dai piccoli e dai grandi. Il dominio di un eloquio volgare di incomparabile incisività si vuole ora esteso a tutti i generi letterari che pratica simultaneamente con totale disinvoltura: escono così a stretto giro le commedie (l’edizione della Cortigiana è del 1534), i dialoghi pornografici (Ragionamento e Dialogo escono tra il 1534 e il 1536), le Lettere (il primo libro è del 1538), le parafrasi bibliche e le riscritture agiografiche (pubblicate tra il 1534 e il 1543).
Nel 1536 entra definitivamente nell’orbita imperiale diventando pensionato di Carlo V e coltivando un complesso rapporto di patronage con Alfonso d’Avalos, governatore di Milano. Ma è a partire dal 1539, con la nomina cardinalizia di Pietro Bembo nel nuovo clima del pontificato di Paolo III Farnese, che Aretino arricchisce la costruzione del proprio personaggio di un nuovo tassello, alimentando per anni il sogno di pervenire anch’egli alla porpora e rientrare così nei ranghi della Curia romana. Un’ambizione non del tutto priva di fondamento destinata, tuttavia, a fallire definitivamente al principio degli anni ’50, proprio nel momento in cui più forti erano le speranze sotto il quasi conterraneo papa Giulio III Del Monte. La morte lo coglie improvvisa a Venezia il 21 ottobre 1556, con uno strascico di infamie che arrivò, nel tempo, a gonfiare addirittura la favola di un trapasso dovuto a un accesso di risate.
Nel 1559, sotto Paolo IV Carafa, tutta la sua opera viene messa all’Indice, pur continuando in realtà a circolare clandestinamente e sotto lo pseudonimo di Partenio Etiro. Ci vorranno secoli per sfatare una leggenda nera che solo di recente la critica è riuscita a dissipare, con la piena restituzione agli studi di un protagonista di punta del nostro Rinascimento. 

com.unica, 15 gennaio 2020