Intervista al futurologo israeliano Yanki Margalit, imprenditore nel settore hi-tech e creatore di start-up (La Stampa)

Robotica, Intelligenza Artificiale, Internet of Things: che cosa intendiamo davvero quando diciamo che «il mondo sta cambiando»? «In una prospettiva globale e a lungo termine è l’umanità stessa che sta cambiando. Parliamo del futuro del genere umano e della vita sulla Terra». A Herzliya il futurologo Yanki Margalit sta per salire sul palco dell’«Israeli Conference on Robotics».

Bambino prodigio, all’età di 15 anni costruì il suo primo computer. Giovane imprenditore, a 23 fondò un’azienda hi-tech, poi acquisita da una delle prime società di private equity a concentrarsi esclusivamente sulla tecnologia. «Corro un bel rischio – scherza – perché questa è una conferenza molto tecnica. Per tutto il giorno si è parlato di sensori, interfacce, droni e Intelligenza Artificiale, mentre io proverò, in qualche modo, a mostrare al pubblico il quadro d’insieme. Siamo arrivati a un salto evolutivo della nostra specie».

Margalit, questo radicale salto evolutivo è una notizia buona o potenzialmente cattiva?
«Vuole sapere se i robot prenderanno il controllo e uccideranno l’umanità? La risposta è no. Qualcosa di molto più importante sta per accadere. Ci sono due tendenze».

Di quali si tratta?
«Da un lato la tecnologia diventa sempre più smart, più sofisticata, più avanzata e quindi i robot diventano sempre più potenti e intelligenti. Ma questa è solo metà della storia. Siamo abituati a guardare alla tecnologia dall’esterno, ma il secondo trend ci dice che noi stessi siamo robot, fusi con altre tecnologie. Ci stiamo evolvendo nell’Homo Sapiens 2.0, una combinazione di biologia, elettronica, comunicazione, Intelligenza Artificiale e robotica».

Il genere umano è pronto per affrontare questa trasformazione?
«Una delle mie sfide è mantenere l’ottimismo verso il futuro e quindi voglio presumere che sarà un cambiamento positivo per tutti. Se devo essere più realista, temo che non tutti evolveranno in Homo Sapiens 2.0. Quello che vedremo è – come si dice in termini biologici – una speciazione».

L’umanità si separerà in due sottospecie?
«Quando un evento evolutivo provoca la modificazione di una specie, non tutti gli esemplari di quella specie riescono ad adattarsi. Il punto, quindi, è: come ci tratteremo gli uni con gli altri? Come sarà la convivenza di Homo Sapiens 1.0 con 2.0?».

Sembra un episodio della serie televisiva «Black Mirror»…
«Una serie che mi piace moltissimo, in effetti, perché è stata la prima a proporre una visione distopica molto realistica e penso che la distopia giochi un ruolo fondamentale nelle nostre vite. Abbiamo bisogno di avvertenze e di moniti sui limiti verso cui ci possiamo spingere e su cosa può andare storto».

Che cosa rappresenterà la colonizzazione dello spazio per l’Homo Sapiens 2.0?
«È fondamentale per due motivi. Il primo è molto pratico e lo definirei “motivo zero”. Abbiamo bisogno di un “back-up”. Io vengo dal mondo dell’Information Technology e trovo folle che, giunti al punto in cui potremmo distruggere l’umanità nel giro di pochi secondi, ancora non abbiamo creato una sorta di “riserva” dell’umanità».

Banche del sangue, delle cellule staminali e del Dna non sono già una sorta di «back-up»?
«Francamente, non vorrei trovarmi nella situazione in cui qualcuno deve “memorizzarmi”, studiando il mio Dna e pensando: “Bello, ma adesso che ci faccio?”. Un futuro in cui soltanto il Dna sopravvive non è ciò che auguro all’umanità. D’altra parte nell’Information Technology si creano repliche digitali perfette e si immagazzinano in modo che siano sempre disponibile. Io, invece, non parlo di creare una replica dell’umanità, ma mi riferisco a colonie e insediamenti veri e propri su Marte. E, più avanti, anche su altri pianeti e poi in altri sistemi solari».

E qual è il secondo motivo che sta dietro la necessità dell’umanità di espandersi nell’Universo?
«Espandersi fa parte del comportamento umano. Se non lo fai, muori. Questo succede alle specie che si stabiliscono in un ambiente senza uscirne mai. Non sopravvivono».

Allora conviene accelerare i tempi e prepararsi a traslocare su Marte?
«Per adesso è ancora impossibile. Andare come pionieri su altri pianeti è troppo pericoloso e costoso. I robot saranno i nostri strumenti per questa esplorazione. Come la sonda “Curiosity” su Marte. Poi, in un secondo momento, manderemo dei robot da costruzione per “pulire” l’atmosfera, costruire case e impostare l’ecosistema. Probabilmente d’ora in poi i nostri pionieri saranno proprio i robot, con il compito di preparare il terreno per l’umanità».

Fabiana Magrì, La Stampa luglio 2019