C’è attesa per l’esito dell’incontro previsto a partire dalle 10 di oggi a Roma tra gli inquirenti egiziani e italiani sul caso Regeni. Dall’esame del dossier di circa 2000 pagine in possesso degli investigatori del Cairo i pm italiani guidati dal procuratore Pignatone si aspettano di imprimere una svolta decisiva all’inchiesta, a poco più di due mesi dal ritrovamento del corpo di Regeni sottoposto a terribili torture.

Dopo una lunga serie di depistaggi le autorità italiane potrebbero quindi entrare in possesso di precise indicazioni volte a stabilire delle responsabilità. Secondo alcune indiscrezioni queste porterebbero al generale Khales Shalabi, come suggerirebbe anche la fonte anonima che ha inviato alcune email al quotidiano “Repubblica”, in cui sono contenute delle circostanziate accuse e i dettagli delle torture inflitte al giovane ricercatore friulano.

“L’ordine di sequestrare Giulio Regeni – si legge in una di queste email – è stato impartito dal generale Khaled Shalabi, capo della Polizia criminale e del Dipartimento investigativo di Giza. Fu Shalabi, prima del sequestro, a mettere sotto controllo la casa e i movimenti di Regeni e a chiedere di perquisire il suo appartamento insieme ad ufficiali della Sicurezza nazionale. Fu Shalabi, il 25 gennaio, subito dopo il sequestro, a trattenere Regeni nella sede del distretto di sicurezza di Giza per 24 ore”. Nella caserma di Giza, Giulio “viene privato del cellulare e dei documenti e – continua la lettera inviata a Repubblica -, di fronte al rifiuto di rispondere ad alcuna domanda in assenza di un traduttore e di un rappresentante dell’Ambasciata italiana”, viene pestato una prima volta. Chi lo interroga “vuole conoscere la rete dei suoi contatti con i leader dei lavoratori egiziani e quali iniziative stessero preparando”.

In seguito, sempre secondo l’email, per ordine del ministro dell’Interno Magdy Abdel Ghaffar Regeni sarebbe stato trasferito in una sede della Sicurezza nazionale a Nasr City. Tre giorni di torture non vincono la resistenza di Giulio e allora il ministro dell’Interno avrebbe deciso di investire della questione “il consigliere del presidente, il generale Ahmad Jamal ad-Din, che, informato Al Sisi, dispone l’ordine di trasferimento dello studente in una sede dei Servizi segreti militari a Nasr City perché venga interrogato da loro”. Seguono torture sempre più violente – racconta la fonte -, fino alla morte di Giulio. “Viene messo in una cella frigorifera dell’ospedale militare di Kobri al Qubba, sotto stretta sorveglianza e in attesa che si decida che farne. La decisione viene presa in una riunione tra Al Sisi, il ministro dell’Interno, i capi dei due servizi segreti, il capo di gabinetto della Presidenza e la consigliera per la Sicurezza nazionale Fayza Abu al Naja”. “Nella riunione – conclude la mail – venne deciso di far apparire la questione come un reato a scopo di rapina a sfondo omosessuale e di gettare il corpo sul ciglio di una strada denudandone la parte inferiore. Il corpo fu quindi trasferito di notte dall’ospedale militare di Kobri a bordo di un’ambulanza scortata dai Servizi segreti e lasciato lungo la strada Cairo-Alessandria”.

Il caso ha avuto in questi giorni una risonanza internazionale. Quasi tutti i più importanti organi di stampa europei si sono espressi sulla triste vicenda. Per “Le Monde” l’omicidio e le torture inflitte a Regeni sono un chiaro sintomo di una deriva “pinochetiana” del regime del Cairo. “L’omicidio di Giulio Regeni fa emergere qualcosa di marcio nello Stato egiziano” ha scritto ieri il “Times” di Londra nell’editoriale dal titolo ‘Tirannia al Cairo’. “Il presidente Al Sisi ha promesso all’Italia la verità ma, fino ad ora, dall’Egitto c’è stato solo offuscamento”, continua il quotidiano inglese. Da parte del governo italiano si mostra fermezza, come ribadito nella serata di ieri anche da Renzi: “Abbiamo scelto di far lavorare insieme i magistrati di Italia ed Egitto e siamo impegnati a che su Regeni non sia una verità di comodo ma la verità. Aspettiamo che i magistrati facciano i loro incontri, noi siamo pronti a seguire quel lavoro con grandissima determinazione. Nessun tentativo di svicolare rispetto alla verità sarà accolto da nessuna parte”.

(com.unica, 7 aprile 2016)