[ACCADDE OGGI]

Alle 8 del mattino di quel tragico 20 ottobre del 1944 uno stormo di bombardieri del “451 Bomb Group” della aviazione americana si levò in volo dall’aeroporto di Castelluccio dei Sauri vicino Foggia diretti a Milano con il compito di distruggere gli impianti della Breda a Sesto San Giovanni. Erano agli ordini di tale colonnello Kapp e trasportavano un carico di morte pari a oltre 80 tonnellate di esplosivo, alcune bombe erano a scoppio ritardato si da portare la distruzione dopo aver raggiunto il suolo. Alle 11,15, si disse per un errore del comandante che aveva letto male le coordinate di volo, l’aereo con il suo carico di oltre 300 bombe si trovò sui quartieri milanesi di Gorla e di Precotto. Il pilota aveva davanti a sé due alternative: intraprendere il viaggio di ritorno e liberarsi del carico in aperta campagna o nel mare Adriatico, oppure sganciare le bombe sui quartieri milanesi che non avevano nessun interesse militare. Decise per quest’ultima opzione. Alle 11,16 suonano le sirene dei centri abitati sottostanti. I 200 bambini che dalle 8 del mattino erano nella scuola “Francesco  Crispi” di Gorla si precipitarono nei sotterranei accompagnati dai loro insegnanti. Alle 11,29 della scuola rimaneva un cumulo di macerie insieme ai corpicino dilaniati  di 184 bambini e dell’intero corpo insegnanti. Quel 20 ottobre del 1944, sei mesi prima dalle fine della guerra oramai già vinta dagli alleati, la città di Milano ebbe 614 vittime uccise da questo folle atto di guerra. Wikipedia ci riferisce che “…Sul terreno dove sorgeva la scuola elementare, concesso dal Comune di Milano ai parenti delle vittime, venne innalzato il monumento ossario intitolato ai “Piccoli Martiri di Gorla”, realizzato dallo scultore Remo Brioschi e inaugurato nel terzo anniversario della strage. Nella cripta, durante gli anni successivi vennero trasferite, a gruppi, le spoglie dei bambini morti a Gorla in seguito al bombardamento e dei loro insegnanti. Il  piccolo corridoio centrale è dominato dall’iscrizione: “E vi avevo detto di amarvi come fratelli“. La scuola elementare riedificata a Gorla venne dedicata ai Piccoli martiri di Gorla, denominazione successivamente scomparsa nell’accorpamento scolastico. Nell’albo n.8 della serie a fumetti Caravan, titolato Il gioco della guerra ed edito nel gennaio 2010, il disegnatore Werner Maresta ha proposto una ricostruzione della vicenda”.

Marco Pederielli, tra i pochissimi sopravvissuti, così ricorda al TG24:

“Nonostante avessi 6 anni, mi ero iscritto direttamente in seconda elementare perché avevo fatto la prima da privatista. È stata  fortuna perché le prime classi facevano lezione al piano terra e furono le prime ad entrare nei rifugi. Nessuno di coloro che raggiunsero i rifugi è sopravvissuto, perché una bomba cadde nella tromba delle scale e l’esplosione fece crollare l’intera struttura. Durante la discesa verso i rifugi, mi accorsi che avevo dimenticato il cappotto in classe. Corsi di sopra a riprenderlo e quando ridiscesi notai che il bidello aveva lasciato il portone della scuola aperto. Uscii in strada con le bombe che già stavano cadendo in tutto il quartiere. Fu rischioso ma non finii sotto le macerie della scuola. Strisciai in strada costeggiando le case, finché arrivai sul sagrato della chiesa del quartiere. Un droghiere mi tirò dentro il negozio proprio un attimo prima che una bomba cadesse sulla chiesa. Mi ritrovai nella cantina del suo negozio con la bocca piena di polvere e le orecchie che fischiavano, ma ero salvo. Più tardi mi diressi verso casa e a metà strada trovai mia madre, che stava correndo verso la scuola per venirmi a prendere, e tornammo a casa”.

– Quanti dei suoi compagni di classe sono sopravvissuti?  

“Soltanto uno. Un mio amico, che poi ha fatto con me il liceo scientifico e la Bocconi, era rimasto a casa perché aveva l’influenza. Tutti gli altri sono deceduti nel crollo della scuola. Metà del quartiere aveva perso i suoi bambini, mentre quelli dell’altra metà erano ancora vivi, perché i bambini che abitavano nella parte destra di viale Monza avevano un orario scolastico diverso da quelli che abitavano nella parte sinistra della strada. Cosa è successo dopo la strage?- I miei genitori mi portarono via dal quartiere. Si sentivano quasi ‘in colpa’ perché, quando incontravano le altre madri, queste chiedevano perché i loro figli fossero morti mentre io ero ancora vivo. Quelle stesse madri, alla fine della guerra, fecero a gara nel festeggiare e nell’accogliere i liberatori americani, dimenticandosi chi erano i responsabili della morte dei loro bambini. Ma credo che sia stata una reazione normale, dopo una guerra così lunga e terribile”. 

– Come si superano un trauma e un dolore così tremendi?

“Non si supera mai del tutto. Dopo 70 anni, quando si avvicina il 20 ottobre sento ancora una grande tristezza, perché penso a tutti quelli che potrebbero ancora esserci e non ci sono più. Per fortuna, ho avuto una vita felice e mi sono tolto anche molte soddisfazioni professionali. Un pò perché ero molto piccolo e un po’ perché i miei genitori mi hanno subito portato via da Gorla, quel trauma non ha influito negativamente sulla mia realizzazione personale”.

– Cosa si porta ancora dentro di quel giorno dopo tutti questi anni?

“Io ho sempre lavorato nel mondo della cultura e dell’editoria e ho abbracciato completamente la cultura occidentale. Ma da allora mi porto dentro un certo astio contro gli Stati Uniti. Considero gli americani un popolo non particolarmente colto, che non merita di avere un ruolo di portabandiera dell’Occidente. Non mi dispiace che abbiano perso un po’ di leadership negli ultimi anni.”

Colpisce, oggi, a distanza di 71 anni da quella tragedia,  quanto la signora Vivian Lamarque  scrisse al “Corriere della Sera”, 17/10/2004:  “ […] Il terreno dove sorgeva la scuola venne messo in vendita dal Comune e, poiché volevano costruirci un cinematografo, noi genitori angosciati facemmo un esposto in Comune e costituimmo un Comitato”. Non fu facile, ma infine, grazie al sindaco Antonio Greppi, ottennero la concessione del terreno. Durissimo, però, racimolare i fondi per il monumento. Ogni mattone ricuperato con strazio dai genitori dei bambini tra le macerie veniva venduto per due lire, se rovinato per una lira, si misero anche a vendere i tappi di stagnola delle bottiglie del latte, diedero fondo ai loro semivuoti borsellini. L’aiuto risolutivo venne dalla dottoressa Tita Fusco Montagnani che organizzò un concerto di beneficenza alla Scala e che riuscì a ottenere dalla Rinascente in ricostruzione avanzi di marmi e dalla Falck ferro nuovo in cambio di ferro vecchio. Tre anni dopo, grazie anche alla generosità dello scultore Remo Brioschi, il monumento “Ecco la guerra”, divenuto poi ossario per tutte le vittime e i loro maestri, vide la luce. Ma non è finita: “I responsabili dell’eccidio – continua la lettera – offrirono una forte somma al Comitato e al Comune perché il monumento venisse demolito”.

Su questo orrore ricordiamo che alle commemorazioni di Gorla hanno presenziato negli anni assessori e vicesindaci, rari sindaci e un solo presidente della Repubblica, Sandro Pertini. È  proprio vero, non tutti i morti sono uguali.  

(Franco Seccia/ com.unica, 20 ottobre 2015)