L’analisi dell’economista dell’Università di Harvard Dani Rodrik: difficile prefigurare un futuro ordine economico e politico mondiale molto diverso da quello attuale.

Esistono due tipi di crisi: quelle per le quali non avremmo avuto la possibilità di prepararci perché nessuno le aveva immaginate e quelle per le quali avremmo dovuto essere preparati perché erano prevedibili. La crisi COVID-19 rientra in questa seconda categoria, qualunque cosa dica il presidente degli Stati Uniti Donald Trump per liberarsi da qualsiasi responsabilità di fronte all’attuale disastro. In effetti, sebbene il coronavirus sia nuovo, quasi tutti gli specialisti concordarono sulla forte probabilità di poter incappare in una tale pandemia, benché fosse impossibile prevederne i tempi.

SARS, MERS, H1N1, Ebola e altre epidemie del passato più recente avrebbero dovuto chiaramente metterci in allerta. Quindici anni fa, l’Organizzazione mondiale della Sanità ha rivisto e aggiornato il suo quadro generale di reazione alle epidemie, cercando di correggere diverse carenze riscontrate nella risposta globale all’epidemia di SARS nel 2003.

Nel 2016 la Banca Mondiale aveva creato un meccanismo di finanziamento di emergenza per far fronte alle pandemie, per aiutare in particolare i paesi a basso reddito costretti ad affrontare crisi sanitarie transfrontaliere. Ancora più incredibile, pochi mesi prima che COVID-19 apparisse a Wuhan, in Cina, un rapporto pubblico americano avvertì l’amministrazione Trump della probabilità di una pandemia di influenza paragonabile a quella esplosa un secolo fa (la ‘Spagnola’), che causò circa 50 milioni di vittime in tutto il mondo.

Come nel caso di quella legata ai cambiamenti climatici, la crisi innescata dal COVID-19 era pertanto destinata ad arrivare. La risposta americana è stata particolarmente disastrosa. Per settimane, Trump ha minimizzato la gravità della minaccia. Dopo che il numero di infezioni e ricoveri è aumentato in modo esponenziale, il paese si è trovato drammaticamente a corto di kit di test, mascherine, respiratori e altre forniture mediche fondamentali.

Gli Stati Uniti non hanno richiesto i kit dei test messi a disposizione dall’OMS e non sono riusciti a produrre test affidabili abbastanza rapidamente. Trump ha rifiutato di usare il suo ufficio per richiedere attrezzature mediche da produttori privati, costringendo gli ospedali e le autorità statali a farsi concorrenza l’un l’altro per le forniture.

Il ritardo nei test e nella decisione di stabilire il confinamento si è rivelato molto costoso anche per l’Europa, in particolare per Italia, Spagna, Francia e Regno Unito, che sono tra i paesi più colpiti. Diversi paesi dell’Asia orientale hanno risposto in modo molto più efficace. La Corea del Sud, Singapore e Hong Kong sembrano essere riuscite a controllare la diffusione della malattia attraverso una combinazione di test rigorosi, monitoraggio e misure speciali di quarantena.

Le diverse modalità di approccio devono anche essere evidenziate anche all’interno dei paesi stessi. Nel nord Italia, il Veneto sta facendo molto meglio della vicina Lombardia, principalmente grazie a test più completi e mirati. Negli Stati Uniti, due stati vicini, Kentucky e Tennessee, hanno riportato i loro primi rispettivi casi di COVID-19 a un solo giorno di distanza. Alla fine di marzo, il Kentucky aveva più di un quarto del numero di casi visti nel Tennessee, semplicemente perché il Kentucky aveva dichiarato lo stato di emergenza molto più rapidamente e aveva chiuso le strutture pubbliche.

Nella maggior parte dei casi, tuttavia, la crisi si è manifestata secondo modalità che avrebbero potuto essere anticipate, proprio studiando la tendenza della governance in altri paesi. L’approccio incompetente, dilettantesco e presuntuoso di Trump era più che prevedibile, e oggi ha lasciato sul campo molti morti. Allo stesso modo, il presidente brasiliano Jair Bolsonaro, arrogante e lunatico come il suo omologo americano, ha, come al solito, minimizzato costantemente la gravità della minaccia. Al contrario, era prevedibile che i governi che avevano ancora una notevole fiducia del pubblico, in particolare in Corea del Sud, Singapore e Taiwan, avrebbero risposto in modo più rapido ed efficace.

La risposta della Cina si è rivelata tipicamente cinese: censura delle informazioni sulla diffusione del virus, alto livello di controllo sociale e poi massiccia mobilitazione delle risorse quando la minaccia era diventata ormai innegabile. Il Turkmenistan ha vietato l’uso del termine “coronavirus”, oltre a indossare la maschera in pubblico. Il leader ungherese Viktor Orbán sta approfittando della crisi per darsi i pieni poteri per un periodo illimitato, mentre neutralizza il parlamento.

L’attuale crisi mette chiaramente in luce le caratteristiche dominanti del sistema politico dei singoli Stati, che in effetti diventano una versione amplificata di se stessi. Potremmo così assistere a una crisi che, invece di favorire quel punto di svolta che molti annunciano per la politica e l’economia a livello mondiale, orientando il mondo su una traiettoria significativamente nuova, in realtà potrebbe intensificare e favorire le tendenze esistenti.

I principali eventi storici come quello che stiamo vivendo con l’attuale crisi tendono a generare i propri “bias di conferma”: è possibile così che tutti osservino nella debacle COVID-19 una conferma della propria visione del mondo e percepiscano i segni emergenti di un futuro ordine economico e politico al quale aspiravano da tanto tempo.

In effetti, coloro che desiderano una maggiore presenza dello Stato nell’economia avranno tutte le ragioni per credere che la crisi confermi le loro convinzioni. Ad esempio coloro che aspirano a una maggiore governance globale sosterranno che un sistema sanitario internazionale più forte avrebbe potuto mitigare i costi della pandemia. Infine, coloro che desiderano uno stato nazionale più forte indicheranno i numerosi esempi in cui l’OMS sembra aver organizzato male la sua risposta alla crisi (basandosi sulle dichiarazioni ufficiali della Cina, l’opposizione ai divieti di viaggio o addirittura disapprovando l’utilizzo delle mascherine).

In definitiva, il COVID-19 potrebbe non determinare alcun cambiamento e tanto meno invertire quelle tendenze che erano già abbastanza evidenti prima della crisi. Il neoliberismo continuerà nella sua stessa agonia. Gli autocrati populisti diventeranno ancora più autoritari. L’ipermondializzazione rimarrà sulla difensiva di fronte alle richieste di spazio politico di manovra da parte degli stati nazionali. Cina e Stati Uniti continueranno a mantenere una traiettoria di collisione. Infine, la battaglia si intensificherà all’interno degli stati-nazione tra gli oligarchi, i populisti autoritari e gli internazionalisti liberali, mentre la sinistra farà sempre più fatica a sviluppare un programma sufficientemente attraente per la maggioranza degli elettori.

(Dani Rodrik, project-syndicate aprile 2020)

*Dani Rodrik è un economista di origine turca ed è professore di Politica Economica Internazionale all’Università di Harvard. È autore di svariati saggi economici, tra cui La globalizzazione intelligente (2011) pubblicato in Italia da Laterza, e il più recente Dirla tutta sul mercato globale (Einaudi 2019).

Traduzione dall’inglese di Sebastiano Catte