[ACCADDE OGGI]

Era il 30 settembre del 1980 e per le strade di tutta Italia comparvero dei manifesti anonimi che dicevano: “corri a casa in tutta fretta c’è un biscione che ti aspetta“. Iniziavano le trasmissioni nazionali di Canale5. In molti si precipitarono dagli antennisti per installare l’antenna capace di ricevere il segnale della nuova emittente libera nazionale. In realtà già da alcuni anni l’emittente chiamata Telemilano di proprietà dell’allora costruttore edile Silvio Berlusconi irradiava i suoi programmi nel Nord Italia ma diventata Canale5 operò in forte concorrenza con Rete 4, di proprietà di Mondadori e Italia 1, in mano a Rusconi che ben presto non ressero allo scontro e finirono nelle mani dell’ex cavaliere che poté muovere all’assalto delle tre reti della televisione pubblica e lottizzata che a quel tempo avevano il marchio della DC per RAI1, del PSI per RAI2 e dei comunisti alla guida di RAI3.

Fu un durissimo scontro che Berlusconi riuscì a vincere grazie all’appoggio politico del socialista Craxi convinto assertore della spallata al sistema. Per vincere la sfida Berlusconi, anche grazie ad un suo passato di intrattenitore e cantante a bordo delle navi da crociera, si rivelò un bravissimo manager dello spettacolo e contattò vecchie glorie della Rai oramai in ombra nella tv di stato. Furono tra i primi della partita Mike Bongiorno, Corrado e la coppia Vianello-Mondaini che tornarono al successo proprio nelle reti dell’industriale milanese. In seguito si aggiunsero Maurizio Costanzo, Johnny Dorelli, Lorella Cuccarini, Raffaella Carrà, Pippo Baudo, Enrica Bonaccorti e, sempre mai guardando alle tessere e alle idee, tanti altri tra artisti e giornalisti che portarono Canale 5 ad essere il canale leader del panorama televisivo italiano, superando anche l’ammiraglia RaiUno. Ma la vera battaglia, Berlusconi che fu sempre attento al business, la vinse sul piano degli introiti pubblicitari arrivando a superare la borsa della televisione di stato che allora come oggi univa all’odiosa tassa di possesso sugli apparecchi televisivi la gran fetta del mercato pubblicitario di cui deteneva il monopolio.

Finiva il monopolio dell’etere della televisione pubblica, ma naturalmente, crollato Craxi – anche grazie a tangentopoli che rappresentò un cavallo di battaglia dell’informazione delle tv berlusconiane nelle dirette televisive dei telegiornali diretti dall’allora giovane craxiano di ferro Enrico Mentana – e svanito il disegno di un radicale cambiamento del sistema monopolistico non solo radiotelevisivo, i cosiddetti progressisti, che con la solita scusa dell’informazione pubblica, non seppero cogliere il momento di un’autentica rivoluzione nel panorama dell’informazione televisiva italiana registrando un ritardo italiano di oltre un decennio rispetto ad altri paesi del mondo, partirono in crociata contro le emittenti del “biscione” e caparbiamente vollero un referendum nel tentativo di oscurare le reti Fininvest. Lo persero sonoramente anche perché qualcuno disse “agli italiani togligli la pensione, riducili alla fame, tagliagli le visite specialistiche ma non gli toccare il telecomando”.

(Franco Seccia, com.unica 30 settembre 2019)