All’interno della Grotta del Tuono di Marettimo sono stati rinvenuti resti di un pasto composto da una mandibola di cervo e vari molluschi (patelle) che ha svelato come l’uomo navigasse nel Mediterraneo alla ricerca di cibo e nuove terre già 8600 anni fa, cioè verso la fine del Mesolitico e non nel Neolitico, come si credeva finora.

Lo studio condotto da un team di ricercatori di ENEA Università di Roma “Sapienza”, Palermo, Trieste e Salento è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista “Earth Science Reviews” e ripreso da “National Geographic”. Inoltre, le analisi geomorfologiche in situ e al radio-carbonio del ricercatore ENEA Fabrizio Antonioli hanno fatto emergere che gli umani avrebbero raggiunto l’isola di Marettimo in un contesto paleogeografico diverso.

“Secondo i rilievi, durante l’ultima glaciazione, circa 20 mila anni fa, la Sicilia era collegata alle isole di Favignana e Levanzo da una pianura lunga dai 10 ai 14 km mentre uno stretto canale la separava da Marettimo, meta più ambita dai cacciatori perché ricca di selvaggina, a differenza delle altre due isole molto più basse e senza boschi”, spiega Fabrizio Antonioli del laboratorio ENEA di Modellistica Climatica e Impatti. “La datazione dei resti di cervo identica a quella delle patelle – ritrovate per di più nello stesso livello di sabbia – ha consentito di provare che i cacciatori navigavano da Favignana a Marettimo alla ricerca di cibo. Successivamente l’innalzamento del livello del mare ha isolato l’arcipelago delle Egadi e con esso anche la Grotta del Tuono, luogo del ritrovamento, che oggi si trova a circa 30 metri sul livello del mare e circa 55 da quello di 8560 anni fa, ed il cui accesso è possibile solamente con tecniche alpinistiche”, conclude Antonioli.
Oltre all’ENEA e alle Università, hanno contribuito allo studio scientifico l’Area Marina Protetta delle Egadi, il museo geologico “G.G. Gemmellaro” e la Soprintendenza del Mare. La scoperta della mandibola di cervo è stata possibile grazie alla guida alpina Jacopo Merizzi durante un monitoraggio del promontorio di Punta Troia a Marettimo, mentre le analisi sono state integrate con gli studi di Sebastiano Tusa, archeologo di fama internazionale scomparso di recente in un incidente aereo in Etiopia.

In considerazione dei fenomeni erosivi e dell’innalzamento del mare, gli studiosi auspicano che i reperti siano salvaguardati e conservati adeguatamente, in attesa di svelare nuove pagine della storia del “Mare Nostrum”.

com.unica, 21 settembre 2019