L’ideologia di una classe politica si manifesta con gli atti e con le parole. Una riflessione di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera.

Tra quelli che stanno giù in basso ad osservare l’equilibrista (e cioè noi) che cammina sul filo sospeso tra due grattaceli, sembrano essere in molti a pensare che se la caduta non è inevitabile, essa sia comunque probabile. Dal 4 marzo è sospesa sul Paese la spada di Damocle del piano B (fuori dall’euro e buonanotte al secchio; anzi, buonanotte a noi). Le smentite da parte del governo sono d’obbligo ma non è stato un passante bensì un ministro della Repubblica ad evocare lo spettro di un abbandono della moneta unica per così dire «preterintenzionale» da parte dell’Italia. Come ha scritto giustamente Luciano Capone su Il Foglio, il «cigno nero» evocato da Paolo Savona non c’entra. Dire, come egli ha detto, che non saremo noi ad andarcene ma che esiste la possibilità che siano gli altri a cacciarci è invece un evidente tentativo di formulare una profezia che possa auto-adempiersi. Quale effetto pensate che le affermazioni del ministro abbiano sugli spettatori che osservano l’equilibrista? La realtà è così complicata che oltre alle profezie che si auto-adempiono(profetizzo qualcosa che desidero accada e la mia profezia spinge gli altri a comportarsi in modo che l’oggetto del mio desiderio si realizzi) esistono anche le profezie che si auto-annullano o si auto-falsificano: ad esempio, profetizzo qualcosa che mi spaventa sperando che tante persone si attivino per impedire che avvenga.

Tra le profezie alle quali speriamo tocchi in sorte di auto-annullarsi c’è quella che evoca spettri argentini o venezuelani. Chi pensa che nessuno sia così pazzo da poter desiderare cose del genere è, purtroppo, persona poco informata sui fatti. Poco informata, ad esempio, sul fatto che i peronisti hanno violentato l’Argentina per decenni e decenni. Il Paese era alla malora ma loro campavano piuttosto bene. L’ideologia di una classe politica si manifesta con gli atti e con le parole. Chi pensa che contino solo le decisioni e che invece le parole siano irrilevanti, si sbaglia. La politica è in gran parte fatta di parole che incidono sui comportamenti. Ai fini della comprensione di chi sono i nuovi reggitori del Paese i loro slogan vanno presi altrettanto sul serio degli atti formali di governo.

Parole e atti delineano il seguente identikit. Le componenti maggioritarie della classe politica di governo sono estranee (e ostili) a tutte le istituzioni che sorreggono la società libera per come si è affermata nel mondo occidentale. È sotto scacco la rule of law (nell’imperfetta variante europeo-continentale dello «Stato di diritto»). La rule of law si fonda su un equilibrio fra l’esigenza collettiva della protezione sociale e l’esigenza della tutela delle libertà individuali. È da questo principio che derivano la limitazione e il controllo del potere pubblico. Nulla a che spartire con l’ideologia che incita a un uso violento e generalizzato del diritto penale ai fini di una guerra senza quartiere contro i «nemici del popolo». Una seconda istituzione-chiave è la democrazia rappresentativa. La dominante ideologia (ma anche gli atti: vedi come è stata gestita la questione dei vitalizi) si nutre di antiparlamentarismo. In nome di un’irrealizzabile democrazia diretta (nella pratica: la manipolazione permanente del «popolo» da parte di uno o più caudillos). Alla concezione individualista e pluralista che giustifica la democrazia rappresentativa (i componenti della classe politica rappresentano le istanze di aggregati eterogenei di persone, ciascuna delle quali diversa dalle altre) si sostituisce una concezione anti-individualista e anti-pluralista che evoca cose inesistenti (il «popolo», in quanto tale, non esiste) per mettere a tacere o alla gogna gli avversari. Cose già viste tante volte.

C’è poi l’ostilità all’economia di mercato. Si sta manifestando in tanti modi: c’è la necessità di ingessare e sottoporre a controlli sempre più pervasivi il mercato del lavoro, le imprese, eccetera. E chi protesta per la conseguente distruzione di posti di lavoro è solo uno spregevole portavoce di non meglio identificate lobbies (ossia, un «nemico del popolo»). C’è la pulsione ad abbandonare una — poco controllabile — economia aperta e a innalzare barriere protezioniste (vedi il caso del Ceta, il trattato di libero scambio Europa-Canada). Il messaggio dei 5 Stelle sull’economia è complementare a quello della Lega sull’immigrazione: serrare porte e finestre. Per inciso, se il problema della Lega fosse solo quello (condivisibile) di limitare l’immigrazione clandestina, essa dovrebbe mettere in cantiere provvedimenti per favorire l’immigrazione regolare (di cui un Paese in declino demografico ha bisogno). Ma le esigenze di una campagna elettorale permanente non permettono queste sottigliezze (vedi la polemica fra Matteo Salvini e il presidente dell’Inps Tito Boeri).

Poiché non vogliamo farci mancare niente, non c’è solo l’anticapitalismo (l’ostilità di principio all’economia aperta di mercato). C’è anche l’anti-industrialismo. Da questa sindrome discendono, ad esempio, l’avversione per le grandi opere pubbliche o l’attacco a quella fondamentale istituzione della modernità che è la scienza (la polemica antivaccini, gli allarmi per le scie chimiche, e altri deliri). E, naturalmente, il disprezzo per la competenza (che significa faticosi studi alle spalle, lunga esperienza, eccetera) in qualunque campo. Dal sacrosanto principio dell’uguaglianza formale, dell’uguaglianza di fronte alla legge, si passa alla pretesa di una perfetta uguaglianza sostanziale: uno vale uno, anche quando il primo è un competente e il secondo un asino parlante. Tutto ciò spinge verso esiti latinoamericani. Naturalmente, quanto davvero avverrà non dipenderà solo dagli orientamenti della maggioranza ma da un insieme di circostanze, una parte delle quali non controllabili dai governi. Se mai arriverà il giorno in cui coloro che in questo esecutivo rappresentano la continuità con il passato (come il ministro dell’Economia o quello degli Esteri) saranno sostituiti da altri, più ortodossi dal punto di vista dell’ideologia maggioritaria, allora sapremo che l’equilibrista è caduto. Sballottati fra profezie che si auto-avverano e profezie che si auto-falsificano speriamo che le seconde neutralizzino le prime.

(Angelo Panebianco, Corriere della Sera 14 luglio 2018)