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Sessantaquattro anni dopo Cristo, esattamente nella notte tra il 17 e il 18 luglio Roma bruciò. Un incendio come mai visto prima durato quasi dieci giorni, che partito dal Circo Massimo distrusse quasi completamente la capitale del mondo lambendo il Colosseo e divorando tutto quanto si trovava sulla via Labicana tra gli attuali confini di viale Manzoni e via Merulana. Così, con il piglio di uno storico attento e con acuta penna da cronista, c’è lo descrive Tacito: “Iniziò in quella parte del Circo che confina lungo il Palatino e il Celio, dove il fuoco, scoppiato nelle botteghe che contenevano prodotti altamente infiammabili, divampò subito violento, alimentato dal vento, e avvolse il circo in tutta la sua lunghezza, visto che non esistevano palazzi con recinti o templi cinti con mura o qualcosa che potesse fermare le fiamme”. Le fiamme si arrestarono solo dinanzi ai confini di Porta Capena, davanti alle mura dell’Esquilino e, naturalmente, non oltrepassarono il Tevere.

Incendio dovuto a calamità naturale o alla mano dell’uomo? Se d’incendio doloso si trattò è giusto dire che su quei fatti la storia è vittima della fantasia leggendaria trasportata e perpetuata da una vastissima letteratura.

Fu l’imperatore Nerone ad appiccare il fuoco per godere di uno spettacolo eccezionale mentre, cantando i versi della Presa di Troia, dava sfogo alla sua vena poetica dall’alto della sua residenza? O furono i primi cristiani che avrebbero voluto purificare con le fiamme la Città avamposto di ogni vizio e di infinite scelleratezze?

Oggi gli storici sembrano assolvere Nerone e discolpare i cristiani anche utilizzando le cronache di Svetonio e Tacito, soprattutto di quest’ultimo che già tramandava dubbi sulla colpevolezza di Nerone. Rifacendosi alle parole di Tacito sono in molti quelli che sostengono che Nerone si impegnò con tutte le sue forze per domare l’incendio e guidò personalmente i soccorsi. E in molti ricordano che sempre Nerone ricostruì Roma dotandola del primo piano urbanistico organico per una grande città dell’antichità.

Non manca infine chi ricorda che Nerone non perseguitò i cristiani in quanto ritenuti colpevoli del rogo della città, bensì perché intese punirli per il loro fanatismo religioso che li portò a gioire dopo la distruzione di Roma che essi consideravano una specie di Sodoma di biblica memoria. Buon per noi che oggi non c’è Nerone e i Cristiani sono emancipati, tolleranti e arrendevoli. Altrimenti quante vittime ci sarebbero tra i colpevoli dei ripetuti e infiniti “sacchi di Roma”.

(Franco Seccia/com.unica 18 luglio 2019)