Mattarella: “era un economista di valore, politico appassionato, capace di unire tensione ideale, garbo e competenza.”

Ha suscitato unanime cordoglio la notizia della scomparsa di Giorgio Ruffolo, spentosi ieri a Roma dopo una lunga malattia all’età di 96 anni. Nel darne l’annuncio Valdo Spini, suo compagno di partito, ha sottolineato come Ruffolo abbia lasciato “una traccia duratura nella cultura e nella politica socialista e della sinistra riformista italiana”. Il presidente della Repubblica Mattarella lo ha così ricordato: “Sono dolorosamente colpito dalla scomparsa di Giorgio Ruffolo, economista di valore, politico appassionato, capace di unire tensione ideale, garbo e competenza.”

Eminente figura di studioso e di economista prestato alla politica, Ruffolo è stato un grande protagonista del dibattito politico-culturale italiano del secondo dopoguerra. Stretto collaboratore di Enrico Mattei all’Eni negli anni ’50, poi Segretario Nazionale al Ministero della Programmazione economica, deputato europeo, deputato italiano, quindi senatore, ministro dell’Ambiente per tutta la legislatura ’87-’92. 

Chi lo ha conosciuto bene da vicino ricorda oggi il suo tratto umano inconfondibile di persona mite e gentile, la profondità di pensiero dell’intellettuale raffinato e capace di incarnare come pochi altri quelle che secondo Max Weber dovrebbero essere le virtù del politico di valore: passione, senso di responsabilità e lungimiranza. La sua lungimiranza era quella dello statista con lo sguardo rivolto non alle prossime elezioni ma alla prossima generazione, secondo la ben nota definizione attribuita ad Alcide De Gasperi. Questa sua capacità di visione la esercitò nei primi anni ’60 quando, in qualità di Segretario alla Programmazione al Ministero del Bilancio (chiamato a quell’incarico da Ugo La Malfa) fu l’artefice, insieme ad economisti di grande valore come Paolo Sylos Labini, Pasquale Saraceno e Giorgio Fuà, delle prime esperienze di programmazione economica nel nostro paese, che sfociarono nell’elaborazione del Progetto ’80. Si trattava di una visione di pianificazione territoriale a lungo termine che si poneva l’obiettivo ambizioso di correggere gli squilibri prodotti dalla crescita ineguale del dopoguerra, caratterizzata dal boom economico. Giorgio Ruffolo spiegherà nel volume autobiografico Il libro dei sogni (a cura di Vanessa Roghi, Donzelli 2007) che quel piano era soprattutto “uno strumento che avrebbe evitato al Paese tante ignobili devastazioni e al Governo criteri oggettivi e coerenti per giudicare i grandi investimenti infrastrutturali; invece di correre da una emergenza all’altra, in una continua serie di stress emergenziali che si risolvono, in molti casi, in una deprimente paralisi”. Il titolo del volume è legato alla definizione con cui Amintore Fanfani – presidente del consiglio del primo centrosinistra, poi defenestrato, bollò il Progetto ’80 quando questo documento fu presentato in Parlamento. Un progetto avversato non solo da gran parte della Dc e dalla destra ma anche dalla sinistra comunista. “Il libro dei sogni – ha scritto Ruffolo al riguardo – è una reazione polemicamente orgogliosa per ricordare, e rivendicare, imprese politiche ambiziose abbandonate da chi avrebbe dovuto sostenerle, come la sinistra riformista, denigrata con qualunquistica volgarità da una destra cinica e allegramente retriva. Devo dire che non ce l’ho affatto con la destra, che fa il suo mestiere, ma con quelle cingallegre della sinistra che non perdono occasione per ironizzare sulle «anime belle», sulle «utopie astratte», in nome di una concretezza e di una serietà che fino a oggi non hanno prodotto neppure una riforma degna di questo nome.”

Anche nelle esperienze successive Ruffolo ha sempre saputo unire in maniera brillante capacità di visione e pragmatismo, una qualità sempre più diventata rara avis nel panorama politico nazionale. Lo ha dimostrato ad esempio in qualità di Ministro dell’Ambiente (dal 1987 al 1992 nei governi Goria, De Mita e Andreotti in rappresentanza del partito socialista) quando ebbe la possibilità di mettere in pratica le sue idee innovative basate sul concetto – allora sconosciuto ai più – di “crescita sostenibile”, sviluppata nel saggio La qualità sociale (Einaudi 1990). Come ha ricordato Corrado Clini, suo stretto collaboratore in quel dicastero, Ruffolo aveva un’idea molto chiara del ruolo delle politiche ambientali come volano della transizione verso la modernizzazione dell’economia e la crescita sostenibile, non solo su scala nazionale ma in ambito europeo e globale. Trent’anni dopo, ha osservato Clini, “le intuizioni e le politiche di Giorgio Ruffolo sono parte del processo verso il futuro sostenibile in Europa e nel contesto globale, nonostante le difficoltà e le contraddizioni.”

Nella biografia di Ruffolo un discorso a parte merita la sua ricca attività di scrittore di talento e di saggista. Molti dei suoi libri sono stati scritti con taglio divulgativo, con l’intento di avvicinare il grande pubblico a quella che veniva definita la scienza “triste” per eccellenza, l’economia. Come Cuore e denari (Einaudi 1999), dodici ritratti di grandi economisti raccontati magistralmente in maniera vivace e con fine ‘sense of humour’; e Lo Specchio del Diavolo (sempre per Einaudi, 2006), un affascinante viaggio nei secoli e nella storia alla scoperta di una scienza (quella dell’economia) che, come sostiene Ruffolo, “dovrebbe servire all’uomo per aumentare il benessere, la ricchezza e anche la felicità del popolo”. Da questo testo il regista Luca Ronconi ha tratto il soggetto per uno dei cinque eventi teatrali allestiti a Torino in occasione delle Olimpiadi Invernali 2006.

Nelle ultime due opere – Il capitalismo ha i secoli contati e Il film della crisi (quest’ultimo in collaborazione con Stefano Sylos Labini) c’è una profonda riflessione sulle conseguenze disastrose (poi esplose con la crisi del 2008) del predominio della finanza sull’economia reale, con l’altissimo livello raggiunto dall’indebitamento privato. Quello che veniva indicato come il miracolo della nuova economia finanziaria che prometteva una crescita senza fine esente da fluttuazioni economiche, muta così in una crisi caratterizzata da un alto grado d’indeterminatezza e d’iniquità. Nel libro c’è la ricetta per uscire da questa crisi ma si avverte un forte scetticismo – ribadito anche nelle ultime interviste – nelle capacità della classe politica di recepirle. In sintesi, scrive Ruffolo, “è necessaria un’inversione della politica economica per ridimensionare il potere del capitalismo finanziario e per restituire allo Stato e alla democrazia le leve del finanziamento dello sviluppo, specialmente durante una fase di crisi. Così sarà possibile promuovere una crescita sostenibile e un più alto grado di eguaglianza e di consenso sociale.” Nei suoi ultimi scritti c’è un’implicita critica alla sinistra europea per non aver avuto la forza di adottare le necessarie contromisure in tal senso, smarrendo di fatto il legame con i principi che dovrebbero sempre ispirare la sua azione. Su queste tematiche Ruffolo è tornato in un’intervista dedicata alla figura di Federico Caffè, uno dei suoi maestri, in particolare su un tema centrale affrontato dal grande economista abruzzese: quello del rapporto tra equità ed efficienza, ancora attualissimo: “Siamo sicuri – afferma Ruffolo – che questo rigore che spietatamente cade sulla povera gente sia un investimento per l’equità di domani, e non un premio all’ingiustizia di ieri e di oggi?” Caffè come è noto si era sempre battuto contro quello che è oggi diventato il pensiero unico di chi privilegia l’efficienza rispetto all’equità, il mercato alla democrazia, la finanza alla produzione.

Sebastiano Catte, com.unica 18 febbraio 2023

*Foto Ansa