Lo scrittore americano al Corriere della Sera: «È una follia descrivere Hamas come un movimento progressista. Anche gli studenti vengono spesso ‘addestrati’ a questi schemi, invece di essere spinti al pensiero critico»

In un’intervista concessa al Corriere della Sera, lo scrittore e critico letterario americano Daniel Mendelsohn parla dell’appello – firmato insieme a intellettuali, scrittori e storici come Michael Walzer, David Grossman, Simon Sebag Montefiore – diretto a quella grossa fetta della sinistra globale che si è mostrata incapace di solidarietà nei confronti degli israeliani per l’attacco del 7 ottobre.

Studioso di lettere classiche, critico, traduttore e docente di Letteratura al Bard College di New York, Daniel Mendelsohn ha scritto uno dei libri più belli sulle generazioni perdute dell’Olocausto, Gli scomparsi (Einaudi), in cui ricostruisce i frammenti di una storia familiare che è la Storia della più grande tragedia del Novecento.

«Raramente partecipo a iniziative simili — dice al Corriere —, ma l’azione di Hamas è stata tremenda, penso sia stata concepita apposta per evocare ricordi dell’Olocausto e dei pogrom. Quelle storie di torture sono simili alle storie che ho ascoltato durante la mia infanzia».

Perché così poca empatia?
«C’è questo doppio standard che trovo scioccante: ci viene sempre ricordato che i palestinesi non sono Hamas. E ovviamente non lo sono. Eppure, quando gli innocenti israeliani vengono stuprati, uccisi, decapitati, la reazione è: be’, certo, cosa vi aspettavate? Come se queste persone fossero in qualche modo uguali al loro governo, che, come sappiamo, da anni agisce in modo molto provocatorio nei confronti del problema palestinese. Mi sconvolge, in particolare tra l’intellighènzia e gli accademici, il rifiuto di riconoscere che ciò che è stato fatto il 7 ottobre è un atto selvaggio, bestiale e criminale contro la popolazione civile, contro persone che non sono responsabili delle azioni del loro governo più di quanto lo fossi io per Trump. È un rifiuto che tradisce antisemitismo. Voglio essere chiaro: non ho alcun problema con le persone che protestano contro la risposta del governo israeliano al 7 ottobre, che sta causando la morte di migliaia di palestinesi. Ma se la protesta prende la forma di attacchi contro gli ebrei in tutto il mondo, attacchi contro le proprietà degli ebrei, allora non è che antisemitismo».

Il vostro appello era diretto in particolare alla «sinistra globale».
«Sì perché la sinistra intellettuale, da molti anni a questa parte, affidandosi a Marx, ma anche a Foucault, inquadra tutto in termini di potere. Quindi Israele non può che essere cattivo perché è più potente, e i palestinesi non possono che essere buoni perché non hanno potere. Una grande intellettuale come Judith Butler è arrivata a descrivere Hamas come un movimento progressista. È completamente folle: lottano contro il potere, e quindi sono progressisti. E anche gli studenti vengono spesso «addestrati» a questi schemi, invece di essere spinti al pensiero critico. Israele è una potenza militare, ma per una ragione storica: è circondati da popoli che vogliono eliminare lo Stato ebraico».

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Seguendo questo link è possibile leggere l’intervista integrale (a cura di Marilisa Palumbo)