Un’analisi del premio Nobel per l’Economia Robert J. Shiller sulle tendenze del mercato azionario statunitense

Il mercato azionario statunitense oggi è caratterizzato da una combinazione apparentemente insolita di valori molto elevati, in seguito ad un periodo di forte crescita degli utili, ed una volatilità molto bassa. Che implicazioni suggeriscono questi messaggi apparentemente contraddittori circa la probabilità che gli Stati Uniti siano diretti verso un mercato dell’“orso”?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo guardare ai mercati ribassisti del passato. E questo richiede di definire con precisione ciò che comporta un “mercato dell’orso”. Oggi i media identificano un mercato ribassista “classico” o “tradizionale” con un calo del 20% dei prezzi delle azioni.

Tale definizione non compare in nessun organo di informazione prima degli anni ‘90, e non vi è alcuna indicazione riguardo a chi l’abbia sancita. Può avere le sue radici nell’esperienza del 19 ottobre 1987, quando in un solo giorno il mercato azionario è sceso qualcosa oltre il 20%. I tentativi di legare il termine alla storia del “Lunedì Nero” potrebbero avere portato alla definizione del 20%, che i giornalisti e gli editori probabilmente hanno semplicemente copiato l’uno dall’altro.

In ogni caso, questo dato del 20% è ora ampiamente accettato come indicatore di un mercato in ribasso. Invece, sembra esserci minor consenso riguardo al periodo di tempo per quel declino. Infatti, in quei rapporti del passato degli organi di stampa spesso non veniva menzionato alcun periodo di tempo nelle definizioni di mercato dell’orso. Apparentemente, ai giornalisti che scrivevano sul tema non sembrava necessario precisare.

Nella valutazione delle passate esperienze dell’America con i mercati dell’ orso, io ho usato il dato tradizionale del 20% ed ho aggiunto categorie temporali stabilite da me stesso. In base alla mia definizione, il picco precedente un mercato dell’orso era il più recente con tetto a 12 mesi, e nell’anno successivo si sarebbe dovuto riscontrare un mese del 20% inferiore. Ogni volta che c’era una sequenza contigua di mesi di picco, ho considerato l’ultimo.

In riferimento alla mia compilazione dell’indice mensile S&P Composto e dei relativi dati, ho rilevato che negli Stati Uniti dal 1871 ci sono stati solo 13 mercati dell’orso. I mesi di picco antecedenti i mercati dell’orso sono avvenuti nel 1892, 1895, 1902, 1906, 1916, 1929, 1934, 1937, 1946, 1961, 1987, 2000 e 2007. Non si trovano nell’elenco due famosi crolli del mercato azionario, del 1968-70 e del 1973-74, perché più graduali e protratti nel tempo.

Identificati i mercati ribassisti del passato, è stato il momento di esaminare i valori dei titoli del mercato azionario che li hanno preceduti, utilizzando un indicatore, sviluppato nel 1988 con il mio collega di Harvard John Y. Campbell, per prevedere i rendimenti a lungo termine del mercato azionario. Il rapporto prezzo/rendimento regolato ciclicamente (CAPE) si trova dividendo l’indice azionario reale (rettificato per l’inflazione) per la media di dieci anni di guadagni, dove rapporti superiori alla media implicano rendimenti inferiori alla media. La nostra ricerca ha dimostrato che il rapporto CAPE è piuttosto efficace nel prevedere rendimenti reali su un periodo di dieci anni, benché non si sia riportato quanto correttamente questo rapporto preveda mercati in ribasso.

Questo mese, il rapporto CAPE negli Stati Uniti è appena superiore a 30. Questo è un rapporto elevato. Infatti, tra il 1881 ed oggi, il rapporto CAPE medio si è attestato soltanto a 16,8. Inoltre, nel periodo considerato ha superato il livello di 30 solo due volte: nel 1929 e nel 1997-2002.

Ma ciò non significa che rapporti CAPE elevati non siano associati a mercati ribassisti. Al contrario, nei mesi di picco precedenti i passati mercati dell’orso, il rapporto CAPE medio era superiore alla media, a 22,1, suggerendo che il CAPE tende ad aumentare prima di un mercato ribassista.

Inoltre, le tre volte in cui si è verificato un mercato dell’orso con un rapporto CAPE inferiore alla media sono state: dopo il 1916 (durante la prima guerra mondiale), nel 1934 (durante la Grande Depressione) e nel 1946 (durante la recessione successiva alla Seconda Guerra Mondiale). Un elevato rapporto CAPE implica quindi una potenziale vulnerabilità ad un mercato dell’orso, anche se non è affatto un indice di previsione perfetto.

Certo, sembra che ci siano alcune notizie promettenti. Secondo i miei dati, dal 1881, in media, i rendimenti reali dell’indice azionario S&P Composto sono cresciuti dell’8% all’anno. Dal secondo trimestre del 2016 al secondo trimestre del 2017, invece, la crescita degli utili reali è stata del 13,2%, ben superiori al tasso annuale storico.

Ma questa crescita elevata non riduce i rischi di un mercato dell’orso. Infatti, i mesi di picco, precedenti i mercati ribassisti del passato, tendevano a mostrare un’elevata crescita degli utili reali: il 13,3% all’anno, in media, per tutti i 13 episodi. Inoltre, al picco di mercato appena antecedente al più grande crollo del mercato azionario, nel 1929-32, la crescita dei rendimenti reali a 12 mesi si è attestata al 18,3%.

Un’ulteriore buona notizia è che la volatilità media dei prezzi – misurata dal calcolo della deviazione standard delle variazioni percentuali mensili dei prezzi azionari reali per l’anno precedente – registra il valore estremamente basso dell’1,2%. Tra il 1872 e il 2017, la volatilità è stata quasi tre volte superiore, al 3,5%.

Tuttavia, ancora una volta, questo non significa che un mercato dell’orso non sia in arrivo. Infatti, la volatilità dei prezzi azionari è stata inferiore alla media negli anni che hanno portato ai mesi di picco precedenti i passati 13 mercati dell’ “orso” degli Stati Uniti, anche se il livello di oggi è inferiore alla media del 3,1% per quei periodi. Nel mese di picco per il mercato azionario precedente il crollo del 1929, la volatilità è stata solo del 2,8%.

In breve, il mercato azionario statunitense oggi assomiglia molto ai suoi picchi precedenti la maggior parte dei 13 mercati ribassisti del paese. Questo non significa che sia garantito l’arrivo di un mercato dell’orso: tali episodi sono difficili da prevedere e il prossimo potrebbe ancora essere molto lontano. E anche se un mercato dell’orso arrivasse realmente, per tutti coloro che non acquistano al picco di mercato e vendono al livello più basso, le perdite tendono ad essere inferiori al 20%.

Ma la mia analisi dovrebbe servire da monito contro l’indifferenza. Oggi, gli investitori che permettono che impressioni fallaci della storia li inducano ad assumere in misura troppo elevata i rischi del mercato azionario possono causare perdite notevoli.

Robert J. Shiller*, Project-Syndicate, settembre 2017

*Robert J. Shiller, Premio Nobel per l’Economia nel 2013, insegna alla Yale University. È autore di Irrational Exuberance e del più recente Phishing for Phools: The Economics of Manipulation and Deceptionscritto insieme a George Akerlof.