Paolo Borsellino, come Giovanni Falcone e altri magistrati, fu ucciso dalla mafia perché, con professionalità, rigore e determinazione, le aveva inferto un colpo durissimo, disvelandone la struttura organizzativa e l’attività criminale. La mafia li temeva perché avevano dimostrato che non era imbattibile e che la Repubblica era in grado di sconfiggerla con la forza del diritto”. Così il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ieri 19 luglio, nel trentesimo anniversario del terribile attentato di via D’Amelio, ha reso omaggio alla sua memoria e a quella degli agenti della sua scorta, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina, che “con lui persero la vita a causa del loro impegno in difesa della legalità delle istituzioni democratiche”.

Paolo Borsellino, continua il Presidente, “aveva ferma convinzione che il contrasto alla mafia si realizzasse efficacemente non solo attraverso la repressione penale, ma soprattutto grazie a un radicale cambiamento culturale, a un impegno di rigenerazione civile, a cominciare dalla scuola e dalla società. Preservarne la memoria – rimarca Mattarella – vuol dire rinnovare questo impegno nel tenace perseguimento del valore della legge, del diniego nei confronti del compromesso, dell’acquiescenza e dell’indifferenza che aprono la strada alla sopraffazione”.

“Il suo ricordo – aggiunge il Capo dello Stato – impone di guardare alla realtà con spirito di verità, dal quale l’intera comunità non può prescindere. Quell’anelito di verità che è indispensabile nelle aule di giustizia affinché i processi ancora in corso disvelino appieno le responsabilità di quel crudele attentato e degli oscuri tentativi di deviare le indagini, consentendo così al Paese di fare luce sul proprio passato e poter progredire nel presente”.

“Con questo spirito e nell’indelebile ricordo di Paolo Borsellino, – conclude – rinnovo ai suoi figli e ai familiari degli agenti caduti, i sentimenti di gratitudine e di vicinanza dell’intero Paese”.

Nell’anniversario della strage, anche la Ministra della Giustizia Marta Cartabia ha richiamato la necessità “di consegnare ai familiari delle vittime e all’intero Paese una verità piena su una delle più dolenti ferite della nostra storia. Lo dobbiamo a Paolo Borsellino che, pur consapevole dei gravi rischi che correva soprattutto dopo l’attentato a Giovanni Falcone, continuò con ancora più determinazione a portare avanti il suo altissimo servizio”.

Per la Guardasigilli, “proprio la testimonianza umana e professionale dei due magistrati – divenuti punto di riferimento per le successive generazioni di colleghi e di cittadini – ha reso la lotta alla mafia sempre più quel “movimento culturale e morale” auspicato da Borsellino”.

“La statura di Paolo Borsellino risiedeva anche nella sua capacità di cercare sempre l’uomo in qualunque persona: “l’uomo con la sua coscienza, i suoi perchè, i suoi errori”, come raccontava la sorella Rita. Un insegnamento – conclude Cartabia – che travalica il tempo”.