L’azzeramento delle emissioni globali di CO2 in atmosfera entro il 2050, fissato negli obiettivi globali ed europei, potrebbe richiedere un piano di riforestazione di almeno 1,6 miliardi di ettari, una superficie 5 volte più grande dell’India e superiore all’estensione di tutti i terreni agricoli esistenti sul Pianeta. Un piano irrealistico e pericoloso, basato su impegni difficilmente misurabili di governi e aziende: se l’approccio rimane quello attuale, l’uso intensivo della terra a scopo di compensazione da parte dei grandi inquinatori porterà all’aumento della fame e delle disuguaglianze nel mondo. È l’allarme lanciato da Oxfam con un nuovo rapporto, pubblicato ieri. L’analisi mostra quanto urgente sia contrastare il caos climatico con un reale taglio delle emissioni, rinunciando all’uso di vaste aree di terra, per piantare alberi in grado di compensare le emissioni di gas serra in atmosfera. Solo così si potranno salvare dalla fame le comunità di piccoli agricoltori e indigeni nei paesi più poveri, già messe in ginocchio da eventi climatici sempre più estremi e imprevedibili, che causano carestie e migrazioni forzate.

Ridurre le emissioni di CO2 del 45% entro il 2030, adesso siamo fermi all’1%
Siamo ancora molto lontani dal fare ciò che è necessario per raggiungere il primo obiettivo chiave: contenere l’innalzamento delle temperature globali entro 1,5°C di qui al 2030. Per centrarlo occorrerebbe l’impegno reale dei paesi che inquinano di più, ad abbattere le emissioni globali di CO2 del 45% rispetto ai livelli del 2010; ma i piani attualmente in essere porteranno un taglio di appena l’1% entro il 2030. “Quella che viene definita neutralità climatica, non potrà essere raggiunta senza una vera riduzione delle emissioni, la graduale eliminazione dei combustibili fossili e decisi investimenti nella produzione di energia pulita, lungo le filiere di produzione”, afferma Elisa Bacciotti, responsabile delle campagne di Oxfam Italia. “Purtroppo ad oggi molti dei tanti impegni che vengono sbandierati sono solo una distrazione, rispetto a un’azione incisiva di contrasto agli impatti sempre più devastanti, anche in Europa, della crisi climatica. Ridurre i livelli di CO2 in atmosfera attraverso la riforestazione è solo una parte della soluzione, e gli attuali piani di compensazione prevedono una quantità di terra che semplicemente non abbiamo a disposizione. Continuando su questa strada si potrebbe assistere all’accaparramento di terre coltivabili da cui dipende la sussistenza di intere comunità e a violazioni dei diritti umani. L’unica strada praticabile, per non giocare col presente e futuro prossimo del pianeta e quindi di noi tutti, è il taglio immediato di miliardi di tonnellate di anidride carbonica che continuano ad essere prodotte da Paesi e aziende”.

Il rischio di un aumento esponenziale dei prezzi dei beni alimentari globali
Oxfam ha recentemente denunciato come i prezzi alimentari globali siano aumentati del 40% nell’ultimo anno (il più alto degli ultimi 10 anni), riducendo alla fame 20 milioni di persone, con un aumento di sei volte del numero di persone sull’orlo della carestia in meno di 12 mesi. Se utilizzati su larga scala, piani di compensazione delle emissioni di CO2, ad esempio attraverso la piantagione di massa di alberi, potrebbero causare un aumento dei prezzi alimentari globali dell’80% entro il 2050.

Per compensare le proprie emissioni le 4 sorelle di petrolio e gas da sole dovrebbero consumare un’area grande il doppio del Regno Unito
In vista della COP (Conferenza delle Parti) di Glasgow di quest’anno, più di 120 paesi, tra cui i principali inquinatori Cina, Usa e Ue, si sono impegnati a raggiungere l’obiettivo ‘zero emissioni’ di CO2 entro la metà del secolo. Ma le promesse sono vaghe e non misurabili: perfino un paese piccolo come la Svizzera avrebbe bisogno dell’intera isola di Porto Rico per piantare il numero necessario di alberi a raggiungere l’obiettivo “zero emissioni”; una nazione come la Colombia dovrebbe riforestare un milione di ettari entro il 2030, mentre i tassi di deforestazione continuano ad aumentare. Allo stesso modo, un quinto delle 2.000 più grandi corporation del mondo hanno fissato i loro obiettivi di compensazione, ricorrendo all’uso di terra: BP, Eni, Shell e TotalEnergies – le 4 grandi sorelle di petrolio e gas – dovrebbero piantare alberi in un’area grande il doppio del Regno Unito per raggiungere l’obiettivo “zero emissioni” entro il 2050; il rapporto di Oxfam dimostra inoltre che se l’intero settore energetico, le cui emissioni continuano a crescere, dovesse porsi obiettivi vicini allo zero, sarebbe necessaria una regione grande quanto l’intera foresta amazzonica, l’equivalente di un terzo di tutta la terra coltivabile del pianeta; la sola Shell, ad esempio, avrebbe bisogno di un’area grande quanto tutto l’Honduras entro il 2030.

“Gli obiettivi “zero emissioni” dovrebbero essere una buona idea, eppure i piani delle principali aziende del petrolio per raggiungerli sono quanto di più pericoloso e irrealistico si possa immaginare”, denuncia Bacciotti. “Affidarsi alla riforestazione o a tecnologie ancora prive di fondamento, invece di abbandonare definitivamente i combustibili fossili, è pura follia. Abbiamo sotto gli occhi quanto accaduto nel cuore dell’Europa, in paesi avanzati come Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo, devastati da alluvioni senza precedenti”.

L’appello in vista del summit ONU di Glasgow
A tre mesi dal summit delle Nazioni Unite di Glasgow, Oxfam chiede a governi e multinazionali di concentrarsi su tagli realistici ed efficaci delle emissioni nel breve termine, partendo da cambiamenti che si possono mettere in campo a casa loro, nei loro impianti e lungo le loro filiere di fornitura. Se si vuole ricorrere a strategie di compensazione, queste devono essere misurabili, trasparenti e capaci di abbassare drasticamente le emissioni entro il 2030. Compensare non vuol dire tagliare le emissioni, che dovrebbero essere calcolate separatamente.
“La terra è un bene finito e prezioso; da essa dipendono milioni di piccoli agricoltori e comunità indigene per la loro sopravvivenza”, conclude Bacciotti. “Tutti noi dipendiamo dal buon uso che ne facciamo per la nostra sicurezza alimentare”.

com.unica, 5 agosto 2021