Una vita nel segno delle radici: medico e grande studioso dell’ebraismo, si è sempre battuto in difesa di ogni minoranza. Il ricordo del direttore Pino Pelloni

È morto ieri a Venezia Amos Luzzatto, 92 anni, ex presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane e della comunità ebraica veneziana.

Medico chirurgo e primario, insigne scrittore, docente universitario, biblista e figura chiave dell’ebraismo italiano, Luzzatto era nato nel 1928 a Roma e nel 1939 era emigrato con madre e nonni nell’allora Palestina mandataria, il futuro Stato di Israele. Sarebbe tornato in Italia sono nel 1946. Ha guidato l’Unione dal 1998 al 2006 e, tra i vari impegni in campo ebraico, è stato anche presidente della Comunità di Venezia e direttore della Rassegna Mensile d’Israel. Tra i libri di cui è autore, ci sono “Ebrei moderni” (Bollati-Boringheri, 1989); “Sinistra e questione ebraica” (Editori Riuniti, 1989); “Oltre il Ghetto” (con David Bidussa e Gadi Luzzatto Voghera) (Morcelliana, 1992); “Annali Einaudi – Storia degli ebrei d’Italia, vol. II” (Einaudi, 1997); “Leggere il Midrash” (Morcelliana, 1999); “Una vita tra ebraismo, scienza e politica” (Morcelliana, 2003); “Il posto degli ebrei” (Einaudi, 2003); “La leggenda di Concobello” (Mursia, 2006); “Hermann” (Marsilio, 2010).

Nel volume autobiografico “Conta e racconta: memorie di un ebreo di sinistra”, pubblicato nel 2008 da Mursia, Amos Luzzatto ha tracciato un bilancio di una vita appassionante e piena di sfide (Moked). Una vita nel segno delle radici, delle molte straordinarie storie e dei molti straordinari antenati di cui conserva la memoria. Dal nonno materno, il rabbino e intellettuale Dante Lattes, al poeta, esegeta ed ebraista Samuel David Luzzatto, suo trisavolo, che fu conosciuto anche come Shadal. Qui un piccolo assaggio:

“Il mio nome esatto è Amos Michelangelo Luzzatto, figlio di Leone Michele e di Emilia Lina Lattes. La mia famiglia è molto composita. I Luzzatto sono originariamente ebrei veneti, giunti, pare, dalla Lusazia, rintracciabili alla fine del XV secolo fra Venezia, il Friuli e il Veneto orientale. La lapide della tomba sul punto più elevato del cimitero ebraico di Conegliano Veneto appartiene a un Luzzatto e ne presenta lo stemma: un gallo che tiene tre spighe in una zampa, sormontato da una mezzaluna e da tre stelle a cinque punte. Il tutto dovrebbe essere verde su campo bianco. Mi si dice che siano le armi di un Comune tedesco, che forse si chiamava Freihahn. Però, io non ho trovato né il Comune né lo stemma nell’araldica tedesca. A dire il vero, ho cercato molto poco…”

“Con Amos Luzzatto scompare un leader e un uomo straordinario. È un segno indelebile quello che Amos, per due mandati presidente dell’Ucei, saggista e attivo divulgatore della plurimillenaria esperienza ebraica, ha lasciato in tutta la società italiana un segno profondo, con mille incessanti battaglie intraprese per l’affermazione dei diritti umani, la difesa della Memoria, la lotta contro ogni forma di odio, razzismo e pregiudizio”, ha scritto in una nota la presidente dell’Ucei Noemi Di Segni

Anche il direttore di questa testata Pino Pelloni ha espresso il proprio dolore per la scomparsa di Amos Luzzatto: “un Maestro per tutti noi e una figura dalle qualità umane e culturali di prima grandezza, ci mancherà”.

Per ricordarlo pubblichiamo una sua testimonianza rilasciata proprio a Pino Pelloni per il suo libro “Il Tramonto dei Giusti”:

Avevo dieci anni e abitavamo a Tel Aviv quando, nel 1940 dopo l’entrata in guerra dell’Italia, le truppe britanniche avevano dato inizio ad un arruolamento volontario di palestinesi. Quando dico palestinesi voglio dire ebrei palestinesi. Perché di arabi palestinesi non s’è arruolato proprio nessuno. Sono stati circa ventimila gli ebrei che dopo essere stati addestrati sono partiti per la guerra. Io ho avuto degli insegnanti che si sono arruolati, e che sona andati a partecipare alla campagna d’Italia. E quando tornavano per periodi di riposo venivano a scuola a raccontarci quello che vedevano in Italia e questo ci ha aiutato a capire come si svolgeva la guerra in Europa. Per raccontare meglio di questi soldati ebrei andati a combattere in Italia dobbiamo guardare due periodi ben precisi. Il primo periodo è quello sino alla liberazione di Roma, dove questi soldati incontravano per la verità assai pochi ebrei. Ne trovarono in Puglia, a Bari. Ebrei fuggiti dal nord e dal centro Italia e soprattutto ci raccontavano della vita della popolazione civile.

Delle sofferenze e della fame. Dopo la liberazione di Roma invece sono cominciate ad arrivare notizie dirette di deportazioni. Prima, fuori dell’Italia non si sapeva niente. E la misura della tragedia aveva colpito quasi tutte le famiglie e quelle di ebrei italiani che vivevano in Palestina erano state quasi tutte coinvolte. Di molti non c’erano assolutamente notizie, di molti altri c’erano notizie tragiche. Non restava che augurarci in una intensificazione dello sforzo bellico per concludere il prima possibile le operazioni in Italia. Cominciavano ad arrivare da noi i primi profughi. Tra questi anche miei compagni di scuola, che arrivavano attraverso migrazioni complicatissime passando per l’Unione Sovietica da un campo profugo all’altro, e poi giù attraverso l’Iran sino alla Palestina. Qualcuno arrivava ma non molti per la verità.

Intanto c’erano dei fatti nuovi: quello che più colpiva tutti noi era la non immaginabile, prima della guerra, alleanza americo-anglo-sovietica. Non immaginabile neanche nel 1939. Ma poi ad un certo punto si è resa assolutamente necessaria. E aveva posto a noi giovani dei punti interrogativi anche politici: dopo la guerra poteva nascere uno schieramento per la ricostruzione. Poi è arrivata la guerra fredda e le nostre speranze, erano grosse le nostre speranze, sono andate in gran parte deluse.

In Italia erano venuti parecchi soldati ebrei inquadrati nell’esercito britannico con programmi diversi. Tra questi devo ricordare Enzo Sereni, che è quello che ho conosciuto meglio. Frequentava spesso casa nostra, era un uomo entusiasta e dedito ai suoi ideali, un uomo che intendeva il sionismo come parte di un disegno socialista che doveva coinvolgere tutta l’umanità. Aveva una visione internazionalista non da poco e anche un coraggio non da poco. Lui era stato mandato in Italia come paracadutista, nello stesso periodo in cui Hannah Szenes venne paracadutata in Ungheria per raggiungere gruppi di partigiani ebrei. In Italia non c’erano formazioni di partigiani ebrei come in Francia e di Enzo Sereni non so cosa andasse a fare di preciso in Italia. Il suo destino ha voluto che cadesse in un accampamento tedesco dove è stato immediatamente preso. Molto coraggiosamente, anche avendo documenti falsi che lo identificavano come ufficiale dell’esercito britannico, appena catturato disse: «Mi chiamo Enzo Sereni e sono un ebreo romano». Che coraggio!… quando tutti per salvarsi facevano documenti falsi. È finito a Dachau e non è più tornato, seguendo il destino dei suoi correligionari. Voglio anche ricordare la caduta di Mussolini, che per la Palestina ebraica ha avuto un significato eccezionale. Credo di non aver mai visto in vita un giornale ebraico con un titolo così grande, grande come un manifesto, che tradotto in italiano era: “Fine del governo di Mussolini, il dittatore italiano si è dimesso al suo posto è stato nominato Badoglio”.

Occupava quasi tutta la pagina del giornale. Questo fatto significava per la popolazione ebraica della Palestina che qualcosa si era rotto definitivamente. Ed era vero. Si pensava in un decorso più veloce degli avvenimenti ma ricordo mio nonno che quando si parlava dell’armistizio e tutti si felicitavano con lui, e lui con un viso malinconico rispondeva: “Povera gente… ora i tedeschi occuperanno l’Italia cominceranno a pigliarserla con gli ebrei. Aveva visto benissimo, anche se si trovava a tremila chilometri dall’Italia.”

com.unica, 11 settembre 2020