Felice Gimondi è morto ieri per un malore mentre faceva il bagno nelle acque di Giardini Naxos. L’ex campione, che avrebbe compiuto 77 anni il prossimo 26 settembre, si trovava in vacanza nella località turistica del messinese insieme alla moglie Tiziana, quando si è sentito male. La notizia è stata confermata dai carabinieri. Inutili tutti i tentativi di rianimarlo da parte di alcuni bagnanti, dei medici del 118 e anche di una motovedetta della Guardia Costiera. Già sofferente di cuore, secondo i soccorritori sarebbe morto per un infarto.

Felice Gimondi era nato a Sedrina, in provincia di Bergamo nel 1942. Professionista dal 1965 al 1979, è stato uno dei campioni più amati dagli appassionati di ciclismo negli anni ’60 e ’70 che riconobbero in lui il primo capace di far rivivere le imprese dei grandi del passato come Bartali e Coppi. È uno dei sette corridori della storia del ciclismo ad aver vinto tutti e tre i grandi Giri, cioè Giro d’Italia (per tre volte, nel 1967, 1969 e 1976), Tour de France (nel 1965) e Vuelta a Espana (nel 1968). Ma è stato apprezzato non solo per le sue imprese sulle due ruote ma anche perché lungo l’arco della sua carriera ha sempre dimostrato di possedere rare doti di umanità, umiltà, tenacia e coraggio. “Era un ciclismo più semplice, più duro, meno tecnologico. Lui lo ha attraversato con dignità e forza.”, così lo ha ricordato oggi sulle pagine di Repubblica l’amico Gianni Mura.

Conquistò la popolarità già al suo primo anno da professionista nel 1965 quando vinse a sorpresa il Tour de France ad appena 23 anni. Era partito per quella gara solo per dare una mano a Vittorio Adorni, il capitano della sua squadra (la Salvarani), che aveva appena vinto il Giro d’Italia ed era considerato uno dei favoriti della “Grande Boucle” francese, insieme a Raymond Poulidor, l’idolo di casa. Invece fu subito un grande protagonista di quella gara, imponendosi sulle montagne e mostrando tutte le qualità del campione di razza anche nella cronometro conclusiva a Versailles. Ebbe poi via libera quando Adorni fu costretto a ritirarsi, indossò per molte tappe la maglia gialla e arrivò da trionfatore a Parigi, fino al podio sui Campi Elisi.

Oltre alle grandi corse a tappe Felice Gimondi vinse tutte le più importanti classiche, in particolare una Parigi-Roubaix, una Milano-Sanremo e due volte il Giro di Lombardia. E poi soprattutto il Mondiale a Barcellona nel 1973. Insomma un campione completo, capace nei circa quindici anni vissuti da professionista di imporsi in tutti i modi: in fuga, da grande scalatore, in volata, da sprinter, e anche nelle prove a cronometro. La sua sfortuna (se così si può chiamare) fu quella di incontrare sulla sua strada in quegli anni Eddy Merckx, detto “Il Cannibale”, forse il più forte di sempre. Senza di lui il suo palmares di vittorie sarebbe stato certamente molto più ricco. “La storia, anche quella del ciclismo, non si fa con i se, ma in questa idea c’è molto di vero” scrive sempre Mura. “Merckx è stato il più forte corridore di tutti i tempi, su tutti i terreni. Gimondi, dopo un paio d’anni, ha imparato sulla sua pelle quanto il rivale fosse superiore, ma non si è mai arreso. E questa è una delle caratteristiche salienti della sua carriera.” I duelli con Merckx hanno segnato quell’epoca d’oro del ciclismo, con Gimondi più volte costretto a ad accontentarsi del secondo posto dietro al campionissimo belga. In un’intervista alla Gazzetta disse al riguardo: “Ho impiegato due anni a capirlo: Merckx era più forte di me”. Ma non c’è dubbio che Gimondi fu l’unico capace di tenergli testa in quegli anni, benché non possedesse l’esplosività e la forza del rivale. “Dietro alla sua ruota ci sarò” recita un verso della canzone che gli dedicò Enrico Ruggeri “Gimondi e il Cannibale” e che riproponiamo in questa pagina.

I trofei vinti da Gimondi si trovano nel Museo del Falegname “Tino Sana”, ad Almenno San Bartolomeo, nel bergamasco. “Se ho combinato qualcosa nella mia carriera di sportivo, è giusto che tutti possano vedere i miei trofei. E poi mi piace l’idea delle mie bici in mezzo agli strumenti dei falegnami. In fondo anch’io ero un artigiano, della fatica e dei pedali” spiegò lui stesso in un’altra recente intervista. 

com.unica, 17 agosto 2019