Comincia l’era post quantitative easing: gli acquisti di titoli da parte della Bce sono terminati ufficialmente il 31 dicembre. Mentre alla presidenza di turno dell’Unione ha esordito la Romania, contro cui, solo un mese e mezzo fa, Strasburgo aveva approvato una risoluzione per stigmatizzare i metodi violenti con cui era stata repressa una manifestazione nell’agosto scorso (Corriere). 

La moneta unica ha compiuto 20 anni: il 1° gennaio 1999 era in vigore in solo 11 Paesi – tra cui l’Italia – contro i 19 Stati europei attuali. Oggi è quindi la moneta di 340 milioni di persone. Dal 27 gennaio, intanto, le banche centrali smetteranno di emettere le banconote da 500 euro (Sky Tg 24). La moneta unica è stata lanciata inizialmente solo per le transazioni contabili e finanziarie e tre anni più tardi anche con banconote e monete di uso comune. All’inizio del 1999 l’euro diventa la valuta ufficiale per 291 milioni di persone in 11 Paesi: Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna. Oggi l’Eurozona comprende 19 Stati.

“L’euro era una conseguenza logica e necessaria del mercato unico. Con l’euro è più facile spostarsi, commerciare ed effettuare transazioni all’interno della zona euro e con il resto del mondo. Vent’anni dopo abbiamo una generazione che non conosce altra valuta nazionale” (AdnKronos). A dirlo in una nota in occasione dell’anniversario, il presidente della Bce Mario Draghi, in occasione dei 20 anni dell’euro. Nel frattempo, osserva Draghi, “la Bce ha svolto con successo il proprio compito più importante, ovvero mantenere la stabilità dei prezzi. Ma stiamo anche contribuendo al benessere dei cittadini della zona euro mettendo a punto banconote innovative e sicure, promuovendo i sistemi di pagamento sicuri, vigilando sulle banche per assicurare che siano resilienti e sorvegliando la stabilità finanziaria nella zona euro”, conclude il presidente della Bce.

Ma la moneta unica può essere riformata? Sull’argomento interviene Mario Monti, intervistato da La Stampa. “Si può fare manutenzione all’euro, scomputando gli investimenti pubblici dal deficit e armonizzando il fisco che combatta ogni sleale concorrenza basata sulle imposte” afferma l’ex presidente del Consiglio, che ribadisce inoltre la necessità di modificare il patto di stabilità con la creazione di uno spazio particolare proprio per incoraggiare gli investimenti pubblici nazionali scomputandoli dal calcolo col deficit, però con criteri precisi definiti in Europa. “Toglierei – aggiunge – l’opaco lassismo discrezionale alla Juncker-Moscovici, questa politica della flessibilità gestita molto politicamente. Non giova, soprattutto agli Stati che esultano quando la ottengono, come ha fatto l’Italia con Renzi e con il governo attuale. È solo un’autorizzazione a mettere maggiori spese correnti a carico di figli e nipoti, pagandole in disavanzo”.

com.unica, 2 gennaio 2018