Oggi 55 milioni di iraniani sono chiamati alle urne per le elezioni presidenziali. Il presidente uscente Hassan Rohani, artefice dello storico accordo sul nucleare, è il favorito dei sondaggi. Alle sue spalle il sindaco di Teheran, Mohammad Bagher Ghalibaf, e il conservatore Ebrahim Raisi. I principali avversari per la rielezione del presidente in carica sono in realtà – scrive il New York Review of Books – il mancato miracolo economico e l’incombente successione della guida suprema, l’ayatollah Khamenei.

Un sondaggio effettuato dall’istituto Irna mostra che il 41,8% degli intervistati ha dichiarato di votare per i cosiddetti riformisti e moderati guidati da Rohani. Per l’elezione alla presidenza della Repubblica islamica serve però una maggioranza del 50% più uno di voti. In caso contrario i due candidati che avranno raccolto maggiori preferenze si sfideranno nel ballottaggio del 26 maggio. Tra i conservatori, il maggior numero di consensi è ottenuto dall’ayatollah Ebrahim Raisi della città sacra di Mashad. Dal sondaggio, condotto in città capoluogo di 31 province iraniane, è emerso inoltre che il 67% degli aventi diritto andrà a votare (con un trend crescente del 3% rispetto alla scorsa settimana), mentre il 16,2% ha dichiarato di non aver ancora deciso se recarsi o meno alle urne.

Ma l’Iran è una democrazia o una dittatura? È quel che si chiedono molti osservatori, come rileva oggi Il Post. Il sistema istituzionale e politico iraniano concede dei momenti di democrazia, ma non è certo la democrazia così come la intendiamo noi occidentali. Infatti non viene concesso davvero spazio a chi mette in discussione l’assetto attuale della Repubblica islamica, tantomeno della Guida suprema. È per vero che le elezioni rimangono il momento di maggiore libertà in Iran: durante le campagne elettorali viene ridotta la censura sui social network e ai candidati è permesso criticare apertamente le politiche repressive degli ultraconservatori, cosa che ha fatto nelle ultime settimane anche Rohani. Volendo semplificare si può affermare che l’Iran sia un misto di due sistemi istituzionali diversi, uno democratico e uno dittatoriale. Forse vale l’ossimoro di “democrazia non democratica”, secondo la definizione che ne ha dato il New York Times, ricordando che in questa oscillazione tra spazi di democrazia e autoritarismo l’Iran ha mostrato spesso il volto crudele delle più feroci dittature del pianeta.

(com.unica, 19 maggio 2017)