L’ex cancelliere tedesco socialdemocratico Helmut Schmidt è morto oggi ad Amburgo all’età di 96 anni.

Da quando si è ritirato dalla politica attiva è stato sempre considerato come una sorta di “vecchio saggio” della politica tedesca, rispettato da tutti. Eppure non si può certo affermare che il bilancio della sua esperienza alla guida della Germania Ovest (1974-1982) sia stato segnato da una congiuntura particolarmente favorevole: al contrario era un periodo caratterizzato dalla prima crisi petrolifera, dall’acuirsi della guerra fredda tra Usa e Urss e dal terrorismo rosso della Raf.

Nato ad Ambrugo nel 1918, in gioventù fece parte della gioventù hitleriana e durante la seconda guerra mondiale – nel 1944 – fu fatto prigioniero dagli inglesi. Subito dopo il conflitto studiò economia e scienze politiche all’Università di Amburgo, dove negli anni Cinquanta iniziò la carriera politica da militante del Spd. È sempre stato considerato un pragmatico e un uomo d’azione più che un teorico. Ha sempre sostenuto la necessità che la sinistra si dovesse aprire senza indugio all’economia di mercato, rimanendo ancorata al riformismo e abbandonando i residui vincoli ideologici legati al marxismo.

Ministro della Difesa e delle Finanze nel governo guidato da Willy Brandt, diventò cancelliere quando lo stesso Brandt fu costretto a dimettersi per via dello scandalo della spy story. In politica estera è ricordato per la stretta alleanza con la Francia, guidata allora da Valéry Giscard d’Estaing, insieme al quale pose le basi per la costruzione dell’Unione economica e monetaria europea. Fu un convinto atlantista: nel 1981 arrivò a chiedere alla Nato sul suolo europeo l’installazione degli euromissili Usa Cruise e Pershing-2 in risposta agli SS-20 sovietici. Condizione necessaria – spiegò – per battere la strategia sovietica che mirava a minacciare con gli SS-20 l’Europa con l’obiettivo di dividere gli interessi americani da quelli degli alleati del Vecchio continente.

Dopo aver lasciato il governo del suo paese restò deputato fino al 1987, prima di ritirarsi dalla politica attiva per dedicarsi all’attività pubblicistica e di co-editore del Die Zeit.

(com.unica, 10 novembre 2015)