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Il film si chiama Sole che è intanto un bel titolo luminoso italiano: l’ha ideato uno sconosciuto, l’ha diretto uno sconosciuto, l’han recitato degli sconosciuti, ed è una rivelazione. La fotografia contrastata, succosa, d’un rilievo sempre potente, senza nessuna grettezza veristica, ma intesa alla sintesi del chiaro-scuro; l’inquadratura, pensata, intelligente, varia, espressiva; il ritmo vivace, aderente, drammatico; la scenografia, pittorica, non pittoresca; gli interpreti, non attori, non truccati, non belli, non “stellissime” e non “divi”, ma immediati, duttili, composti, sinceri” è questa la recensione del film muto “Sole” apparsa il 17 Giugno 1929 a firma di Corrado Pavolini sul “Tevere” un quotidiano di Roma dell’epoca.

Lo sconosciuto è Alessandro Blasetti morto il 1º febbraio 1987 nella sua Roma quando sarà unanimemente considerato “padre fondatore del moderno cinema italiano”. Il film “Sole” non incontrò il favore del pubblico e causò più di un problema economico al giovane Blasetti che oltre che regista ne fu anche produttore.  Ma la pellicola trafugata dai tedeschi sarà considerata un’epica esaltazione delle bonifiche dell’Agro Pontino tanto che il suo autore è tutt’ora considerato, insieme a Mario Camerini, il massimo regista italiano del cinema di propaganda fascista. Eppure il film narra la storia degli abitanti della zona pontina in fermento perché sfrattati dalle loro terre paludose che si avviavano alla bonifica; ci saranno rivolte, assalti al campo dei bonificatori e addirittura attentati alla vita dell’ingegnere direttore dei lavori, fino a quando il capo dei rivoltosi si ricrederà e porterà i suoi compagni a trasformarsi in agricoltori di una terra bonificata.  

Certo Alessandro Blasetti fu l’autore di moltissimi film considerati apologetici nei confronti del regime ma nessuno poté disconoscere l’abilità del regista nello sfornare autentici capolavori dell’arte cinematografica aldilà del loro contenuto politico: Terra madre, La tavola dei poveri, L’impiegata di papà, 1860, Vecchia guardia, e sopra tutti La corona di ferro e La cena delle beffe. Caduto il fascismo si considerò che, aldilà di ogni forma di amnistia prevalente sui tentativi di epurazione, l’opera di Blasetti era fondamentale per la rinascita della cinematografia italiana e il regista tornò alla sua arte e sarà lo scopritore di artisti ineguagliabili come la coppia Vittorio De Sica-Gina Lollobrigida e Sophia Loren e Marcello Mastroianni in film come Peccato che sia una canaglia e La fortuna di essere donna.

Luchino Visconti, un altro grande del cinema italiano dirà di Blasetti “noi tutti registi italiani gli dobbiamo qualche cosa.” Alessandro Blasetti poco prima di morire, interrogato sul suo primo film “Sole” dirà “il soggetto di Sole esaltava la politica agricola del fascismo, grazie alla quale tantissimi contadini hanno trovato pane e lo rifarei adesso”.

(Franco Seccia/com.unica, 1 febbraio 2019)