Con il sì della Camera dei Lord, arrivato ieri sera, il Parlamento inglese ha approvato la legge per l’avvio di Brexit. Bocciati gli emendamenti che chiedevano di garantire i diritti dei cittadini europei residenti e di sottoporre l’uscita al voto finale dell’assemblea (Bbc). La norma riceverà oggi l’ultimo sigillo della Regina e potrebbe permettere già in giornata alla premier Theresa May di attivare l’articolo 50 (è la prima volta nella storia che viene invocato), primo passo dei negoziati per l’uscita dalla Ue. Il primo ministro dovrebbe però aspettare fino a fine mese (Times). L’articolo 50 dice che ogni stato membro può decidere di ritirarsi dall’Unione europea conformemente alle sue norme costituzionali. Se decide di farlo, deve informare il Consiglio europeo della sua intenzione e negoziare un accordo sul suo ritiro, stabilendo le basi giuridiche per un futuro rapporto con l’Unione europea. L’accordo deve essere approvato da una maggioranza qualificata degli stati membri e deve avere il consenso del parlamento europeo. I negoziatori hanno due anni a disposizione dalla data in cui viene chiesta l’applicazione dell’articolo 50 per concludere un accordo, ma questo termine può essere esteso. Se in un momento successivo lo stato che ha lasciato l’Unione vuole rientrarvi deve ricominciare le procedure di ammissione.

Ma non è detto che il percorso finisca con il Regno ancora unito. Nicola Sturgeon, primo ministro della Scozia che ha votato a grande maggioranza per la permanenza nella Ue, ha infatti annunciato che chiederà un nuovo referendum per l’indipendenza da Londra. Potrebbe tenersi tra autunno 2018 e marzo 2019 (Repubblica). “Il governo britannico rifiuta ogni compromesso che ci consenta di rimanere almeno dentro il mercato comune europeo, non ci resta altra strada che decidere da soli il nostro futuro”, ha dichiarato la premier del governo autonomo scozzese Nicola Sturgeon in un discorso a Edimburgo. Downing Street non aveva in passato mai preso in considerazione seriamente la minaccia, anche perché i sondaggi davano i no all’indipendenza della Scozia in vantaggio sui sì e perché nel 2014 gli indipendentisti avevano già perso, 55 a 45 per cento, un primo referendum sulla secessione dal Regno Unito. “Ma i termini della questione sono cambiati”, afferma la premier scozzese. “Due anni e mezzo fa non sapevamo che restare parte del Regno Unito avrebbe significato uscire dall’Unione Europea”. E sono cambiati anche i sondaggi, che per la prima volta danno i sì in lieve vantaggio o in sostanziale parità con i no. Ma uno stacco netto da Bruxelles vale, per May, la perdita di Edimburgo? – si chiede con toni molto preoccupati oggi il Financial Times.

(com.unica, 14 marzo 2017)