Non è difficile spiegare perché Alexis Tsipras ha vinto il referendum con una montagna di voti di vantaggio. Quello che è molto più difficile capire è cosa succederà domani. I suoi oppositori, sia in Grecia che nell’Unione Europea, hanno commesso una lunga serie di errori di valutazione, dai più piccoli ai più grossi. Io ne vedo tre in particolare.

L’errore più grosso è stato chiaramente l’intervento concertato di molti politici dell’UE di primo piano, che hanno sostenuto che il voto per il “No” avrebbe condotto alla Grexit, cioè all’uscita della Grecia dall’eurozona. Uno di loro è stato Sigmar Gabriel, ministro dell’economia tedesco e capo del Spd. Ha addirittura rincarato la dose subito dopo l’uscita dei primi risultati. I greci hanno giustamente interpretato queste minacce come un tentativo di interferire nel processo democratico del loro paese. La recente notizia che i funzionari dell’eurozona stavano cercando di mettere a tacere l’ultima analisi sulla sostenibilità del debito redatta dal Fondo Monetario Internazionale di certo non è stata d’aiuto. Il report del FMI rivelava essenzialmente che, in fondo, il governo greco aveva tutte le ragioni per chiedere una riduzione del debito. Si è avuta la sensazione che ci fosse la volontà di voler alterare o truccare il referendum, senza nemmeno darsi cura di nascondere questa impressione.

Il secondo errore della campagna del “Sì” è stato di non aver spiegato in che modo il programma di salvataggi avrebbe potuto funzionare dal punto di vista economico. Non si tratta di un dibattito tra keynesiani e neoclassici, di quel genere che ci tiene impegnati all’infinito sulle pagine di questo giornale. Il referendum greco aveva unito economisti con le visioni più diverse su come funziona il mondo, tra questi Paul Krugman, Jeffrey Sachs e Hans-Werner Sinn. Non c’è alcuna teoria economica minimamente rispettabile che dica che un paese che ha vissuto una depressione lunga otto anni abbia la necessità di un ulteriore giro di vite di austerità per rimettere in carreggiata l’economia.

Il terzo errore mastodontico è stato l’arroganza. I sostenitori del “Sì” pensavano di aver già vinto. Come il Partito Laburista britannico prima delle ultime elezioni generali, si erano fidati dei sondaggi, che si sono però rivelati ampiamente inesatti. Ciò che ho trovato più irritante è stata la tesi secondo cui il Grexit avrebbe portato alla catastrofe economica, come se la catastrofe non fosse già avvenuta. Se sei disoccupato da cinque anni, senza prospettive di trovare un lavoro in futuro, non fa nessuna differenza se i soldi che non hai si chiamano euro o dracme.

Il disprezzo per la democrazia e l’analfabetismo economico non sono solo degli errori tattici. Queste due “qualità” sono oggi i rimasugli ideologici di ciò che resta del progetto europeo. La Grecia ci ricorda che l’unione monetaria europea, così come è costruita, è fondamentalmente insostenibile. Ciò significa che o viene corretta o a un certo punto finirà.

Quali sono dunque le opzioni adesso? Lo scriverò più in dettaglio nel mio prossimo articolo. Ma il fatto è che adesso sarà molto più difficile trovare un accordo. Dopo il “No” di domenica, il governo greco insisterà ora per un accordo con meno austerità. Insisterà, e ne avrà tutte le ragioni, per una riduzione del debito che sia coerente con gli ultimi dati calcolati dal FMI. Mi pare difficile immaginare che ci possa esere una maggioranza in Germania che possa condividere un tale accordo. Penso che l’unico modo per costringere la Germania ad accettare di discutere di riduzione del debito sia di iniziare a fare default. Non può avvenire in nessun altro modo. Arrivati a quel punto, comunque, le probabilità di una Grexit saranno alte. Forse la soluzione più realistica ora sarebbe di fare un accordo che riguardi solo il rifinanziamento del sistema bancario greco. Il governo greco fa default verso i creditori, e i creditori smettono di dare alla Grecia qualsiasi ulteriore credito. Questo minimizzerebbe gli impegni per ciascuno, eppure anche un tale accordo sarebbe ricolmo di difficoltà.

E per concludere, non si deve pensare che il Grexit sia una scelta che il governo greco possa decidere o meno di compiere. Non sarà una scelta dettata da nessuno. Il Grexit è ciò che accade quando sono esaurite tutte le altre possibilità. E ora non ne restano molte.

(Financial Times, 5 luglio 2015)

Articolo di Walter Münchau, FINANCIAL TIMES