Un reportage da Atene di Ian Birrell per il quotidiano londinese Daily Mail

Come muore una nazione? Questa settimana negli ospedali di Atene ho visto con i miei occhi quella che può essere la scioccante risposta. È quando la sua gente muore a migliaia semplicemente perché lo Stato non può permettersi di curarli.

Nel Reichstag a Berlino si dice ormai apertamente che Angela Merkel è pronta a discutere di come togliere la Grecia dalla sua miseria – di lasciarla fare ‘Grexit’ e paracadutarla fuori dal suo colossale debito europeo, cosa che avrebbe un impatto enorme su scala globale.

Ma per ripagare il proprio debito, i Greci sono stati martoriati da misure di austerità che fanno sembrare ridicole le lamentele dei Labour sui tagli del ministro conservatore inglese Osborne. Non c’è al mondo una metafora più potente per la salute di un paese del suo stesso sistema sanitario. Ed è proprio quando vediamo coi nostri occhi gli orrori che affliggono il sistema sanitario nazionale greco che ci rendiamo conto come sia semplicemente folle per una nazione – un tempo orgogliosa – continuare sulla strada attuale. Se si trattasse del vostro paese versereste lacrime di dolore e di vergogna.

Nei reparti ospedalieri strapieni ho sentito racconti di bambini tenuti in ostaggio per il pagamento delle spese sanitarie e pazienti in punto di morte lasciati da soli; o facchini usati come paramedici, pazienti a cui viene detto di portarsi le lenzuola da casa, i freni di vecchie ambulanze rompersi mentre queste viaggiano ad alta velocità e ospedali che rimangono senza farmaci e medicazioni.

Le sale operatorie sono state chiuse e il personale ridotto perché semplicemente no ci sono più soldi. Cinque anni fa, la Grecia spendeva 18 miliardi di euro per la salute dei suoi 11 milioni di abitanti – un numero superiore alla media europea. Oggi è costretta a spenderne la metà. Peggio ancora, nei primi 4 mesi dell’anno i 140 ospedali hanno ricevuto appena 43 milioni di euro, che corrisponde a una diminuzione del 94% rispetto all’anno precedente. E, ancora peggio, tutte le riserve di denaro sono state appena requisite dal governo nella disperata raccolta di liquidità per pagare gli impiegati pubblici e i debiti internazionali.

Sono in molti a sostenere che l’aspettativa di vita di un greco sia scesa di 3 anni negli soli 5 anni da quando l’economia del paese è piombata in questa crisi spaventosa. Se confermato, questo dato impressionante non avrebbe alcun precedente nell’Europa moderna.

Le singole storie umane sono penose, tendenti al macabro.

Ho incontrato Costa, un trentasettenne di Corfu, che si muoveva molto lentamente in una strada che partiva da un ospedale. Faticava con la sua sedia a rotelle tenuta insieme con il nastro adesivo. I suoi sforzi dovevano fare i conti dcon un braccio legato a un oggetto ingombrante e largo in un sacco nero. Mi ha raccontato che a causa di un grave incidente con la moto si trova con una gamba amputata. Avrebbe dovuto essere ancora ricoverato in ospedale, ma non c’erano più letti a disposizione; gli è stato chiesto di andarsene, nonostante le sue proteste. “Mi hanno detto di andarmene a casa”, ha detto. “Sono spaventato perché non ho soldi per sopravvivere”.

Mentre continuava a spingersi avanti, gli ho chiesto cosa c’era nel sacco. “La mia gamba” ha risposto, aprendo il sacco per farmi vedere la sua protesi.

In molti ospedali della capitale i medici, le infermiere e gli autisti di ambulanze hanno storie dell’orrore da raccontarmi di un sistema che può crollare da un momento all’altro. “Questa non si può più chiamare Europa” ha detto amaramente un chirurgo. La crisi è diventata così grave che l’organizzazione umanitaria “Medici senza Frontiere” sta approntando un piano umanitario per aiutare il paese nel caso le cose peggiorino ulteriormente, come fanno nelle zone del mondo colpite dai più gravi conflitti.

“La situazione può essere paragonata a quella di una zona di guerra, pallottole a parte,” ha detto una volontaria. “Se le cose non dovesero cambiare andremo incontro a un totale collasso del sistema sanitario”. Nel nuovo governo di sinistra si litiga sul possibile nuovo salvataggio – ma nonostante tutto si è fatto poco per offrire un aiuto concreto al servizio sanitario al di là di ampliarne l’accesso.

Le tragiche conseguenze possono essere toccate con mano visitando l’ospedale di Nikaia nel porto del Pireo, dove il personale notturno faticava a star dietro ai pazienti che si riversavano nel pronto soccorso. Una vecchia signora con un aspetto moribondo stava immobile in un carrello parcheggiato nel corridoio, abbandonata per le quattro ore in cui sono rimasto lì perché non aveva un solo familiare che potesse perorare la sua causa.

Altre cinque persone anziane erano sdraiate sui carrelli, due erano chiaramente doloranti e uno aveva un collarino, tra pazienti in condizioni disperate (facce malconce, corpi dilaniati e arti fratturati) che venivano aiutati dai parenti. Agenti della polizia scortavano un prigioniero in catene coperto di sangue.

La figlia di una donna ottantaquattrenne in agonia avvolta da un cappotto mi ha raccontato che erano lì da quattro ore. La mancanza di personale l’aveva costretta a portare sua madre in sedia a rotelle al reparto di Radiologia per poter fare gli esami del sangue. “Gli ospedali greci sono l’inferno”, mi ha detto.

Un altro uomo che accompagnava suo suocero malato di Alzheimer e con dolori acuti allo stomaco, mi ha detto: “Sono arrabbiato e triste quando vedo queste cose”. Ha aggiunto che suo padre aveva avuto un ictus a Creta e dopo aver atteso invano otto ore l’ambulanza era stato costretto ad attraversare l’isola in taxi, spendendo 150 euro.

Panos Papanikolaou, un neurochirurgo con molti anni di esperienza alle spalle, mi ha detto che le carenze di organico dovute a un congelamento delle assunzioni di 4 anni, ha comportato che l’affollato ospedale potesse usare solo 5 delle 11 sale operatorie. Le infermiere sono del tutto insufficienti. Ne sono rimaste 450, 300 in meno di quelle che sarebbero necessarie.

Poiché le rimanenti infermiere avevano un sacco di ferie arretrate, solo tre sale saranno operative nei prossimi 2 mesi. Questo significa che si potranno curare solo le emergenze estreme in agosto, un mese in cui si registra il picco dei ricoveri a causa del turismo.

“La decisione di bloccare tutte le assunzioni di personale medico è stata criminale secondo me”, ha detto Papanikolaou. “Gli specialisti di terapia intensiva stimano che muoiono almeno 2000 persone all’anno che avrebbero potuto salvarsi”. Le infermiere mi hanno detto che non ci sono lenzuola, per cui i pazienti devono portarsele da casa. Di notte, mettono pannolini e materassi leggeri se i pazienti sanguinano o bagnano il letto perché mancano i cambi.

In un quartiere si sono messi d’accordo per acquistare un misuratore di pressione e dei termometri a causa della mancanza di attrezzature. Poiché gli stipendi sono stati tagliati di un terzo queste azioni mettono in risalto l’eroismo di parte del personale medico che lotta per tenere a galla il sistema. Ho trovato Panayota Conti, 35 anni, che lavorava come unica infermiera notturna di turno con 20 pazienti del reparto di urologia, 9 dei quali avevano subito interventi chirurgici quello stesso giorno. “Spesso c’è più di una persona che ha bisogno e devo scegliere chi aiutare” ha detto. “I pazienti capiscono, ma ricevono meno cure rispetto a prima”. Un’altra infermiera l’ha messa così: “se ci sono due persone che stanno morendo, possiamo aiutarne solo una – siamo ridotti a questo modo”. Quando le ho chiesto come si sentisse a lavorare in queste condizioni, l’infermiera mi ha detto che alle volte le vien voglia di buttarsi dalla finestra, aggiungendo: “l’unica maniera di sopravvivere è amare il proprio lavoro”. Sa di sette suoi colleghi – due dottori e cinque infermiere – che hanno lasciato l’ospedale per andare a lavorare in Inghilterra. Un cardiochirurgo mi ha detto che 59 cardiologi greci sono andati a lavorare per il sistema sanitario nazionale anglosassone.

Quindi ho parlato con un autista di ambulanze che mi ha raccontato di un recente incidente in cui i freni della sua macchina, vecchia 11 anni si sono rotti, mentre si affrettava a portare la vittima di un incidente in ospedale. È riuscito a evitare un’altro incidente solo distruggendo il cambio. “Spesso succedono guasti a questi veicoli”, ha aggiunto. “Ma se arrivi in ambulanza, quantomeno hai una priorità maggiore”.

Ci sono stati casi recenti di ospedali rimasti senza benzina per le proprie ambulanze – e perfino antidolorifici per i pazienti. In un altro, un autista mi ha confessato che prima faceva il facchino a cui hanno fatto 15 giorni di addestramento per poi mandarlo in giro come paramedico per trattare gli incidenti più gravi. “È pura follia” ha detto. “Non siamo preparati a sufficienza per compiti del genere”.

Tra i più colpiti ci sono i malati di cancro, che arrivano a dover attendere quattro mesi per una diagnosi e poi altri sei mesi per avere la terapia specifica. “Se dei aspettare sei mesi per cominciare la radioterapia, allora è inutile venire – o muori nel frattempo o il cancro è così avanzato che non serve più” ha detto Petros Athanasiades, un radiologo.

Dopo aver assistito a situazioni di questo genere il cardiologo George Vichas ha messo in piedi una clinica gratuita di comunità servita da volontari: ci sono ben trentanove casi simili nel paese. Lo specialista ha detto che ha saputo di cinque casi in un reparto di maternità dove i neonati venivano tenuti in ostaggio fino a quando i loro genitori non avrebbero saldato le parcelle. “Abbiamo assistito a un assoluto collasso del sistema sanitario” ha detto.

Ma come è stato possibile arrivare a questo punto? E cosa significa questo per il futuro della nazione all’interno dell’eurozona – e per l’intera eurozona? Prima del collasso il sistema sanitario greco era inefficiente, mal gestito e corrotto come il resto del settore pubblico – ma forniva personale sufficientemente addestrato e uno di sistemi sanitari più avanzati al mondo.

Ma dopo che il paese è stato colpito dalla crisi, il governo ha ricevuto l’ordine da parte dei creditori internazionali di tagliare i costi e di dotarsi di nuove regole sui sussidi. Così, a causa della crescente disoccupazione è esploso il numero dei greci privi di copertura sanitaria: si è passati da cinquecentomila a 2,5 milioni di persone. L’aumento esponenziale della povertà e il deterioramento delle cure mediche hanno portato a un’ulteriore crescita delle patologie mediche: dai casi di diabete alla depressione e dipendenze da stupefacenti, dai problemi cardiaci all’HIV, alla tubercolosi. Sia la mortalità infantile sia i suicidi sono cresciuti notevolmente.

L’Unione Europea e l’eurozona erano progetti pensati per avvicinare i paesi tra loro e renderli più solidali. Al contrario, hanno scatenato la povertà, il degrado e la divisione. Eppure gli euro-fanatici continuano a chiedere altra austerità, mentre l’ultima ondata di politici greci sembra incapace di risolvere la crisi tanto quanto i suoi sventurati predecessori. Il paese e il suo popolo si trovano così di fronte a questo dilemma: continuare all’infinito con questa lenta e inesorabile stagnazione oppure sopportare una grande sofferenza nel breve termine legata all’uscita dall’euro. Non c’è da meravigliarsi che la seconda opzione sembri una scommessa sempre più attraente.

Non è difficile capire perché un default su parte – o magari tutto – il debito di 320 miliardi di euro della Grecia è temuto in Europa: potrebbe scatenare un effetto domino, a partire dalla Spagna e dal Portogallo, che metterebbe la parola fine al sogno europeo. La Grecia precipiterebbe nell’immediato in una crisi sconvolgente. Ma senza l’obbligo di dover ripagare il debito il paese sarebbe in surplus. Fuori dall’euro attrarrebbe almeno enormi investimenti esteri, le sue esportazioni aumenterebbero considerevolmente e ci sarebbero le condizioni per una ricostruzione. E potrebbe fare una cosa che poi non è altro che la definizione moderna di una nazione: potrebbe iniziare a prendersi cura delle malattie dei suoi stessi cittadini. Alla fine la rinascita della Grecia potrebbe coincidere con la fine del sogno europeo originale.

(Daily Mail, 13 giugno 2015)

Articolo di Ian Birrel, DAILY MAIL