L’appello della storica Fania Oz-Salzberger – figlia di Amos Oz – a non abbandonare quella parte di Israele che resiste, nonostante tutto, al fanatismo e alla guerra

C’è un filo sottile che unisce la voce di una storica e quella di una figlia. Fania Oz-Salzberger, docente emerita di Storia all’Università di Haifa e al Centro di studi tedeschi ed europei, non è soltanto un’intellettuale di primo piano nel panorama israeliano: è anche la figlia di Amos Oz, lo scrittore che fece della parola un’arma di pace e del dubbio una bussola morale. Nel suo recente intervento sul “Financial Times“, la studiosa mette a nudo le contraddizioni del presente e lancia un appello vibrante a non abbandonare quella parte di Israele che resiste, nonostante tutto, al fanatismo e alla guerra.

Una voce dentro la tempesta

Oz-Salzberger scrive non da osservatrice esterna, ma da israeliana profondamente coinvolta. Cresciuta in un kibbutz, proveniente da una famiglia sionista laica divisa tra la tradizione socialista e quella liberal-nazionalista, racconta di aver ereditato dai nonni «l’umanesimo come la parte migliore della nostra eredità ebraica». E confessa: «Sono contenta che non debbano assistere a ciò che sta accadendo oggi, e cerco ancora di portare avanti la loro fiaccola».

Il 7 ottobre 2023, giorno dell’attacco di Hamas, segna per lei una frattura irreversibile. Amici e colleghi hanno perso i propri cari, eppure anche la memoria di quella tragedia è diventata terreno di scontro ideologico. «Ogni tanto, quando ne scrivo, alcuni “filo-palestinesi” mi attaccano sui social media per aver insistito sul 7 ottobre, come se solo una parte meritasse di essere riconosciuta per il trauma collettivo. Cari palestinesi, diffidate di questi amici».

Fania Oz-Salzberger (licenza Creative Commons)

La verità dura del compromesso

Storica di formazione illuminista, Oz-Salzberger non indulge nei miti ma nella concretezza: «Né israeliani né palestinesi scompariranno tanto presto. […] Non ci sarà una Palestina che si estende dal fiume al mare né un Grande Israele. Questo è un conflitto che può essere risolto solo attraverso un compromesso territoriale e politico».

Un compromesso, sottolinea, che resta l’unica alternativa alla «guerra eterna», alimentata dai fanatici di entrambe le parti. «Non c’è né umanesimo né razionalità in nessuno dei due estremi della discordia tra palestinesi e israeliani», scrive. «Entrambi sono governati dalle peggiori e più aggressive versioni del Dio ebraico e di Allah».

Sionismo e fraintendimenti

Nel suo intervento Oz-Salzberger difende il concetto originario di sionismo, troppo spesso trasformato in insulto. «Bene, piacere di conoscerti anch’io. Sono sionista. Il che significa semplicemente ciò che significava originariamente per Theodor Herzl: la rivendicazione degli ebrei di una patria nazionale all’interno della loro patria ancestrale. Nessuna pretesa di proprietà esclusiva».

Ricorda poi che, fin dalle origini, il progetto sionista era intrecciato a un’idea di democrazia liberale e di piena uguaglianza. Un ideale riaffermato dalla Dichiarazione d’Indipendenza del 1948, che oggi sembra tradito. «L’unica persona che può distruggere il nostro sionismo di base, moderato, pragmatico e pacifista, è Netanyahu».

Le parole sul premier israeliano non ammettono attenuanti: «Se per “Israele” intendiamo la quasi-autocrazia di Netanyahu, allora “Israele” sta facendo tutto il possibile per mantenere Netanyahu al suo posto di primo ministro e annullare il suo processo in corso per corruzione. Tutto il resto è subordinato a questa causa».

La storica descrive un sistema politico catturato da tre forze: i “Bibisti”, ossia i sostenitori personali di Netanyahu; la destra nazionalista-messianica di Smotrich e Ben-Gvir; e i partiti ultra-ortodossi. Una coalizione che, secondo lei, ha trasformato Israele nel «peggior governo di sempre», disposto a sacrificare ostaggi e soldati pur di inseguire un’ideologia apocalittica.

La forza della società civile

Ma il cuore del suo ragionamento non è la condanna, bensì la resistenza. «Il centro, la sinistra e il centro-destra costituiscono ancora la corrente dominante in Israele. Al centro di questa corrente c’è la nostra società civile». Sono centinaia di migliaia i cittadini scesi in piazza, accademici e artisti compresi, nonostante siano spesso boicottati in Occidente.

Molti di loro, confessa, pensano di emigrare; altri scelgono di restare come dissidenti. «La maggior parte di noi ebrei israeliani non ha nessun altro posto dove andare». Da qui nasce l’urgenza di difendere la democrazia, liberare gli ostaggi e fermare il bagno di sangue a Gaza.

Il testo si chiude con un richiamo alla voce di Amos Oz. Nell’agosto del 1967, poco dopo la guerra dei Sei Giorni, scriveva: «Anche un’occupazione illuminata, umana e liberale è un’occupazione. […] Temo per i semi che vengono seminati nel cuore degli occupanti». Parole che la figlia riprende come avvertimento universale: ciò che accade oggi tra «la fanatica Gerusalemme e la liberale Tel Aviv» potrebbe prefigurare il destino di altre democrazie occidentali. In chiusura un appello: «Israele, il vero Israele, non è più il suo governo, ma la sua società civile, inclusa gran parte del suo mondo accademico e artistico. Vi preghiamo di considerare chi sostenete e di riflettere attentamente su chi punite».

L’articolo di Fania Oz-Salzberger non è solo il ritratto di un Paese lacerato, ma anche una lente sulla fragilità delle democrazie contemporanee. L’idea che nessuna potenza possa distruggere Israele «se non il suo stesso governo», e che solo la società civile possa ricostruirlo, risuona come monito ben oltre il Medio Oriente. Per questo la voce della storica israeliana merita di essere ascoltata. È la voce di una figlia che porta sulle spalle l’eredità morale del padre, di una cittadina che non si rassegna alla guerra eterna, di una donna che difende l’umanesimo contro il cinismo politico. È la voce di chi continua a lottare per l’anima di Israele.

com.unica, 2 settembre 2025 (a cura di Sebastiano Catte)

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