Intervista ad Hafez Haidar, insigne studioso libanese esperto nel dialogo interreligioso

Dopo la guerra russo-ucraina, il conflitto arabo israeliano è esploso nell’agenda internazionale delle diplomazie mondiali. Non mancano gli accorati appelli di autorevoli personalità pubbliche affinché al più presto si cessi il fuoco in Medio Oriente e si dia inizio a negoziati di pace per mettere in sicurezza le popolazioni, i civili e gli ostaggi. La situazione è però complicata anche perché alimentata da una serie di dichiarazioni non concilianti da parte dei capi di entrambi i Paesi coinvolti nel conflitto che allontanano le possibilità di un accordo mentre continuano incessantemente i bombardamenti sulla Striscia di Gaza, a Nord e a Sud di Israele.

Facciamo il punto con Hafez Haidar, libanese, scrittore, poeta e già docente di letteratura araba all’Università di Pavia, uno dei più insigni studiosi al mondo di religioni monoteistiche.

Professor Haidar che sta succedendo nella striscia di Gaza?

«Purtroppo è un giorno nero nella storia dell’umanità perché siamo in pieno conflitto causato dall’attacco del 7 ottobre da parte di Hamas che ha provocato l’uccisione di 1400 israeliani e preso in ostaggio 242 persone. Israele ha reagito colpendo Gaza via terra, mare e aria per tentare di riportare a casa gli ostaggi. Ma il conflitto ha assunto dimensioni drammatiche per le ingenti perdite umane da una parte e dall’altra. Perché fonti aggiornate riferiscono che dall’inizio dell’aggressione contro Israele sono morti 9061 palestinesi con 3760 bambini e 2360 donne. Mentre i dispersi sarebbero 2060 e tra questi tanti bambini rimasti intrappolati tra le macerie. Inoltre gli Ospedali non funzionano perché mancano luce, acqua e gas ma soprattutto medicinali per curare i feriti, ed anche gli ammalati. Pensi che la priorità viene data ai feriti più gravi, e così i pazienti che necessitano di cure continue per il cancro e altre malattie non possono più essere assistiti. Ben presto 10mila pazienti oncologici della Striscia di Gaza rimarranno senza cure».

La cattura di prigionieri da parte di gruppi terroristici armati è un espediente ciclico nelle crisi in Medio Oriente per costringere Israele a passare dall’intransigenza al negoziato. La liberazione degli ostaggi è infatti per Israele fondamentale, al punto che non importa a che prezzo, ma gli ostaggi devono tornare a casa. Un implicito contratto sottoscritto con chi guida il paese. Secondo lei Netanyahu a questo punto che farà?  

«Netanyahu vuol continuare la guerra perché si sente forte e vuole vincere a tutti i costi ma questo causerà purtroppo altre vittime e tante madri palestinesi ma anche israeliane piangeranno i loro figli in una guerra fratricida. Perché questi due popoli sono fratelli, entrambi discendono dallo stesso padre Abramo, il patriarca che ebbe due figli, Ismaele antenato del popolo arabo e da cui è disceso Maometto ed Isacco padre di Giacobbe capostipite degli Ebrei. Questa la verità storica e religiosa anche se nel corso dei secoli sono diventati popoli nemici per interessi diversi. Penso che l’unica strada per arrivare alla pace tra questi due popoli sia quella, a questo punto, di chiudere le fabbriche di armamenti e che l’Onu intervenga massicciamente insieme alla Lega del mondo Arabo e all’ Europa».

Che fine faranno, secondo lei, i 230 ostaggi israeliani catturati dai guerriglieri di Hamas?

«Una soluzione per salvare gli ostaggi israeliani in mano ad Hamas sarebbe quella di fare uno scambio con i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane. Questo permetterebbe una tregua, ma su questo devono continuare a fare pressione tutti gli organismi internazionali perché di fronte a questa sciagura umanitaria non si può più tacere. Questa corsa infernale alla guerra si deve fermare attraverso dialoghi di pace. Solo con una tregua Gaza potrà rifornirsi di beni di prima necessità per poter ritornare alla normalità ed avviare successivamente con Israele il progetto politico di due popoli in due Stati indipendenti e sovrani».

Pensa che la durissima risposta israeliana nei Territori palestinesi alla strage del 7 ottobre sia all’origine del sentiment antisemita che vediamo oggi in diverse parti del mondo e da noi in Italia?

«Purtroppo penso proprio di sì. E condivido la paura di moltissimi ebrei perché la situazione internazionale non è serena a causa del protrarsi del conflitto. Andare avanti con la guerra aumenta l’odio e la rabbia contro il popolo ebraico e dunque la soluzione che io intravedo è quella di percorrere la via della pace e della conciliazione. La storia del conflitto arabo israeliano ci dice che nel corso degli anni si sono verificati varie crisi violente ma circoscritte e caratterizzate da un cessate il fuoco raggiunto molto spesso con la mediazione dell’Egitto. La crisi di oggi però potrebbe rappresentare un colpo mortale e definitivo per quello che resta di quegli accordi visto che la risposta di Israele all’attacco di Hamas continua ad essere durissima e prolungata nel tempo come ha già dichiarato più volte Netanyahu».

Anche Papa Francesco è intervenuto chiedendo di fermarsi, di cessare il fuoco, perché la guerra è sempre una sconfitta.

«Mi associo a quanto detto dal Papa perché lui conosce bene i problemi del mondo, ha visto con i propri occhi morte e disperazione. Lui viene da una terra lontana che ha vissuto la triste esperienza della dittatura. Ad oggi i Paesi che hanno chiesto di fermare la guerra sono stati il Giappone, il Canada e poi la Cina, la Colombia, la Bolivia, il Qatar e l’Arabia Saudita. C’è stata la missione di Blinken in Giordania. Unica strada per giungere alla pace è il dialogo oltre, e mi ripeto, all’intervento massiccio da parte dell’ONU, dell’Europa e della Lega del mondo arabo».

Come prevede finirà questo conflitto?  

«Innanzitutto è un buon segnale che sia stato aperto il valico di Rafah tra l’Egitto e la Striscia di Gaza per consentire il passaggio dei cittadini stranieri, e di ciò l’Unione Europea ha ringraziato l’Egitto per averlo permesso, oltre che concedere il passaggio dei convogli di aiuti umanitari. Poi spero nell’azione diplomatica degli USA con le iniziative del Segretario di Stato Antony Blinken in Israele e con la recente visita del 4 novembre in Giordania, nella quale ha incontrato ad Amman i leader dei Paesi arabi, per cercare di ottenere uno stop alla guerra e una tregua umanitaria per la Striscia di Gaza. Vede, il territorio di Gaza si sviluppa su 360kmq, confina con Israele ed Egitto, conta una popolazione di circa due milioni di persone, di cui oltre cinquecentomila a Gaza City distribuite in palazzi uno a fianco all’altro. Ad oggi gli attacchi da parte di Israele hanno causato la distruzione di 8mila edifici, senza contare gli ospedali e le scuole. Quest’ultimi, luoghi dove trovano rifugio i profughi. Non è più possibile andare avanti così. E mi consenta di chiudere con un mio invito personale alla pace e alla fratellanza. Abbracciamo libri e matite al posto delle armi, gettiamo le armi, la paura, l’odio, la violenza e l’indifferenza nel pozzo del nulla».

Patrizia Scotto di Santolo*, com.unica 7 novembre 2023

*thedotcultura.it

Hafez Haidar è esperto del dialogo interreligioso e delle culture affacciate nel Mediterraneo. Primo traduttore mondiale dall’arabo all’italiano e viceversa. Autore di 90 pubblicazioni e 10 romanzi. Accademico Emerito, candidato al premio Nobel per la Pace nel 2017 e nel 2020 e per la Letteratura nel 2019. Cavaliere e Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, è Direttore Generale internazionale della Camerata dei Poeti di Firenze, già presidente del prestigioso Premio giornalistico “Maria Grazia Cutuli” ed ambasciatore nel mondo del premio medesimo.