La ricercatrice Laura Tenuta indaga tra i testi antichi per un’opera di prossima pubblicazione

Lo studio delle razze canine da caccia, reca in sé anche la genesi per cui da un lato sta la distinzione passato/presente, dall’altro in duplice modo la storia: quella del cane studiato e quella collettiva con un susseguirsi di epoche per le quali l’ausiliare è stato utilizzato, a seconda delle esigenze quotidiane e contingenti del popolo e a seconda delle mode delle classi d’élite.

Soffermandoci sulle razze continentali, per la scuola tedesca che nello studio della cinologia reca primati, il bracco sembrerebbe essere il punto di partenza.
Pensieri opposti vedono il bracco italiano primogenito, in realtà documenti d’epoca dimostrano che fu la penisola iberica il luogo di origine. Con la definizione di “bracco” sono stati intesi nel corso delle epoche e, secondo i vari paesi, differenti tipi di cani: in senso lato si indicava il cane da caccia.

Il doppio significato della parola bracco nel medioevo, ne registra fragilità lessicale giacché indicava sia i cani da seguita che quelli da ferma. Iconografia, libri di venerazione, prosa e poesia ne attestano, però la presenza nei secoli. Soprattutto a cavallo tra il X e il XII sec., il termine oscillò tra cane da seguita e cane di aiuto al falco, in quel periodo pressoché coincidente con il cane da uccelli. Una spiegazione, potrebbe poggiare sulla supposizione che a cavallo tra il medioevo e l’era moderna, falconeria e caccia con le reti ebbero il loro massimo splendore fino all’entrata in scena della prima arma da fuoco: l’archibugio. Proprio quest’ultimo, segnò la nascita di una caccia diversa, in cui il cane acquisì un ruolo da protagonista.

Si ha così, nei secoli a venire, un alternarsi di cane ausiliare del rapace e cane da uccelli e nel XVII sec. torna la dualità primaria per cui ancora si offusca la definizione per poi, nello stesso periodo essere definito in modo sovente, cane da ferma. Le differenze, in realtà erano dapprima linguistiche e, stando all’etimo la parola deriverebbe dal germanico brakko (…) vuolsi derivare da rompere (…) Cane da caccia per scovare la selvaggina e levare gli uccelli: forse così detto dal rompere la macchia e farsi largo nel folto bosco per trovare la preda. (In bràcco https:/www.etimo.it).

Le altre lingue la mutuarono adattandolo alla propria realtà storica anche nel modo di fare caccia, deducendo così che le differenze di base furono dapprima linguistiche.
Se poniamo la penisola iberica come centro di diffusione rintracciamo da documenti di epoca, conservati nella biblioteca Reale di Madrid incontriamo il termine castigliano perdiguero che si riferisce al cane selezionato per la pernice come desumibile in modo inequivocabile dall’etimologia dei due lemmi.

Alonso Martínez de Espinar in Arte De Ballesterìa Y Monteria, Capitulo XXXVII del Arte De Cetreria Biblioteca Digitale spagnola, descrive così il perdiguero in una sua magistrale opera nel 1644: Un animale di grande lavoro, il suo respiro e la sua agilità così grandi che dalla mattina alla sera non smette di correre. Ce ne sono alcuni così leggeri che sembrano volare sopra alla terra, e quando il cane è destroso, tracciando l’inseguimento di questi uccelli moltiplica queste diligenze fino a fermarli che è ciò che vuole colui che li segue.”

Ausiliare dell’uomo fin da tempi remoti, soprattutto per pernici e volatili simili, deriva dalla parola latina perdix ossia pernice prestito documentato da Varrone che ci fa giungere in terra ellenica in cui pernice è perdigo, termine che a sua volta deriva dal verbo che designa l’emettere peti, e forse pernice per la sonorizzazione di quando è in volo. Sfatiamo così congetture che pongono il pointer inglese nelle fila di capostipite del cane da ferma, in realtà documenti plausibili, dimostrano il contrario e vedono il bracco importato da soldati inglesi (reduci dalla Guerra di Successione in Spagna 1705 1713 – Trattato di Utrecht).

Un excursus dettagliato potrebbe denotare una continua commistione tra il bracco spagnolo e quello francese, per cui individuare la polla originaria non è di facile cattura, dato che i due paesi sono limitrofi e la loro storia ha visto un persistente mutamento di tendenze del momento, anche dato dalla storia delle case reali, dove nei secoli dinastie s’incrociavano, generando un territorio mistilingue, già a partire dal Sacro Romano Impero. “La caccia fu dal’700 al 1600 patrimonio esclusivo della nobiltà…la grande quantità di selvaggina … fece sì che gli spagnoli partecipassero all’esercizio venatorio; particolarmente nella zona dei Pirenei. Le complicate vicende storiche ed il susseguirsi delle civiltà fecero sì che i sistemi di caccia fossero i più vari e strani località letteralmente gremite di pernici e lepri (…) con l’ausilio dei cani che erano largamente impiegati anche dal popolo minuto”. (Sergio Perosino, La Caccia, Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1960).


Volendo approfondire

Jean Castets, Bernanrd Senac Lagrange, Le Braque Français, L’Éleveur, Parigi, 1924.
Ange Franchi, Les Braques Français, Edizioni De Vecchi, Milano 2001.
Sergio Perosino, La Caccia, Istituto Geografico De Agostini, Novara,
Adolphe De La Rue, Les Chiens d’Arrets Français et Anglais (I Cani da Ferma Francesi e Inglesi), Paris, 1881.
Jean Pierre Mégnin, Le Chien, Histoire, Hygiène, Médicine: vade-mecum de l’éleveur et de l’amateur de chiens (Il Cane, Storia, Igiene, Medicina: vademecum dell’allevatore e del cinofilo), Editions de l’Élever, Paris, 1883.

Laura Tenuta, com.unica 13 giugno 2022

*Nell’immagine in alto: La chasse à la perdrix – Museo del Louvre, Parigi (Maurice Barbot Editeur)