Alcune riflessioni dello scrittore algerino perseguitato dai fondamentalisti islamici in un’intervista a “La Stampa”

“Quella islamista è una strategia di lunga durata che puntando alla conversione mondiale agisce su piani paralleli, sociale, politico, filosofico, militare. In questo momento sfrutta una congiuntura molto favorevole perché l’Occidente è fiaccato dalla pandemia e la Francia, l’icona della laicità e dunque l’archetipo del nemico, lo è ancora più di altri Paesi: le condizioni giocano a favore di un attacco a tenaglia, Erdogan, il boicottaggio economico, l’azione di lupi solitari che, come nel passato, marciano in ordine sparso ma nella stessa direzione”. Questo il commento dello scrittore algerino Boualem Sansal, intervistato da Francesca Paci per “La Stampa” su quel che accade in Francia, a poche ore dal brutale attentato della Cattedrale di Notre Dame di Nizza, dove un fondamentalista islamico ha ucciso tre persone.

Boualem Sansal, 71 anni, è attivo nella condanna del Fondamentalismo islamico dal 1992, anno della morte del politico Mohamed Boudiaf (uno dei fondatori del Fronte di Liberazione Nazionale), seguita da quella di un suo amico e al crescere delle persecuzioni. Da noi il suo libro più noto è 2084. La fine del mondo (Neri Pozza), pubblicato nel 2015, ispirato alla celebre opera di George Orwell e che narra di un mondo futuro dove tutti gli incubi del presente sembrano realizzati nella forma di una feroce teocrazia totalitaria, in cui la religione controlla gli individui nella loro vita più intima, il pensiero è limitato tramite l’introduzione di un unico linguaggio che riduce la lunghezza delle parole.

Ma c’è un filo rosso con Isis, con il 2015? “In qualche modo – spiega Sansal – si tratta sempre di lupi solitari che si nutrono di quanto trovano, internet, la rabbia della marginalità coltivata per decenni nelle banlieue da Qatar e Arabia Saudita, l’andirivieni con la moschea, dove c’è di tutto ma, inutile negarlo, c’è anche chi recluta giovani jihadisti. Il terrorismo è un’arma formidabile, con poco premette di azzerare il morale in un Paese e difatti la Francia intera in queste ore trema”.

Questi fatti di sangue vanno letti anche alla luce dello scontro tra Macron e Erdogan e del ruolo crescente che il leader turco sta avendo nello scacchiere mediorientale. “La vera posta in palio è la guida della conquista musulmana del mondo. Erdogan ci prova e in questo momento gioca la sua partita su più tavoli, la Libia, la Siria, la Grecia, l’Azerbaigian, fronti dove ha incrociato la Francia a più riprese. Denunciando il separatismo islamista Macron lo ha sfidato a viso aperto ma in qualche modo gli ha fatto un piacere, perché Erdogan sa che la Francia resterà sola, che dopo la solidarietà prevarranno le differenze tra i Paesi europei a partire dalla laicità dello Stato, che nella sfida contro la Turchia Parigi troverebbe più solidale Riad di Berlino ma se si tratta di Maometto Riad non si può schierare. Alla fine Ankara vincerà questo match perché la Francia affronta una situazione più grave e con tutti i vincoli di una democrazia».

Quanto al ruolo delle vignette di Charlie Hebdo lo scrittore non ha dubbi sul fatto che abbiano reso un gran servizio agli islamisti, sono semplicissime da diffondere per fomentare la rabbia cieca dei soldati senza coscienza. “Ma è un effetto secondario” sottolinea. “Charlie Hebdo fa il suo lavoro e lo fa bene, parla con la libertà di espressione da cui discendono tutte le altre, comprese quelle dei musulmani che vivono in Francia”. Ma i francesi e in particolare coloro che hanno issato i cartelli con la scritta “Je suis Charlie” non dovrebbero avere nulla da rimproverarsi in termini d’integrazione. Gli immigrati musulmani sono venuti in Francia per lavorare e sono stati accolti con le loro famiglie, gli ebrei invece venivano cacciati. È un parallelo osceno. La verità è che l’integrazione arranca per colpa dei Paesi d’origine che martellano sull’identitarismo musulmano, la rivendicazione, la differenza religiosa”.

com.unica, 30 ottobre 2020