L’analisi del direttore de La Stampa Maurizio Molinari

Il battistrada è il Canada ma Germania e Gran Bretagna sono in piena sintonia e l’allarme investe Stati Uniti, Austria e Francia: l’estremismo neonazista ha generato gruppi terroristi che devono essere affrontati in quanto tali. È la decisione del Canada di includere due gruppi neonazisti nella lista delle organizzazioni terroristiche a segnare una svolta nell’approccio delle democrazie occidentali al pericolo che viene dall’estrema destra.

L’identikit di questi gruppi ne descrive la pericolosità: «Blood and Honour» (Sangue e Onore) prende nome dal motto della Hitler-Jugend nazista, nasce in Gran Bretagna, si sviluppa nell’Europa continentale e in Nordamerica come un network di naziskin razzisti che promuove l’odio violento contro migranti, musulmani, ebrei e chiunque non la pensi come loro. Anche «Combat 18» si origina in Gran Bretagna, poi si espande in Europa con omicidi e attentati che culminano con l’uccisione del politico tedesco Walter Lubcke, in giugno, accusato di essere pro-migranti.

In particolare, il governo di Ottawa individua in «Combat 18» e «Blood and Honour» quattro elementi che li assimilano alla pericolosità delle cellule jihadiste islamiche. Primo: sono «globali per natura» perché operano in più Paesi. Secondo: aderiscono ad un’ideologia che incita all’uso della violenza contro i civili e all’intimidazione del prossimo per raggiungere i propri obiettivi. Terzo: includono gruppi armati. Quarto: adoperano il web per reclutare, diffondere le immagini dei propri attacchi e favorire emulazioni. Da qui la decisione canadese di includere «Blood and Honour» e «Combat 18» nella lista di organizzazioni terroristiche creata dopo gli attacchi jihadisti dell’11 settembre 2001 dove finora c’erano circa 60 gruppi islamici.

Siamo molto preoccupati per la minaccia violenta che viene dai gruppi neonazisti che sostengono, promuovono e commettono atti razzisti, etno-nazionalisti, anti-governativi e misogini» spiega David Vigneault, direttore dell’intelligence canadese, ricordando come gli attacchi neonazisti contro la moschea di Quebec City nel 2017 e con un camioncino a Toronto nel 2018 hanno una genesi ideologica comune alla strage di Christchurch, in Nuova Zelanda, dove in marzo un killer suprematista ha ucciso 51 fedeli in due luoghi di culto musulmani. Si tratta infatti di individui e gruppi che usano il termine «identitario» – come avviene anche in Francia ed Austria – per definirsi suprematisti bianchi.

Germania e Gran Bretagna condividono tale allarme e stanno valutando l’adozione di adeguate contromisure. A Berlino la polizia afferma che le violenze di estrema destra sono aumentate del 50 per cento negli ultimi due anni. A Londra quattro attentati neonazisti sono stati sventati dal 2017 ed il «Joint Terrorist Analysis Center» ha ricevuto dal controspionaggio il compito di redigere una strategia di difesa ad hoc. «Ci troviamo davanti ad una trasformazione delle attività di estrema destra – spiega Sajid Javid, ministro dell’Interno britannico – perché se prima erano piccoli gruppi impegnati a diffondere idee anti-migranti e suprematiste ora svolgono attività terroristiche, ponendo minacce alla sicurezza nazionale».

A tale riguardo, il caso americano è esemplare perché si è passati nell’arco di meno di due anni dagli slogan antisemiti gridati durante la fiaccolata suprematista a Charlottesville, in Virginia, agli attentati neonazisti contro le sinagoghe di Pittsburgh e San Diego, causando rispettivamente 11 e una vittima. Tale svolta, osserva l’analista militare norvegese Jacob Aasland Ravndal, «avviene nella cornice della sovrapposizione fra aumento dei migranti, terrorismo islamico, crescita del sostegno pubblico all’estrema destra e boom della disoccupazione giovanile». Ovvero, l’odio jihadista e l’odio neonazista si alimentano a vicenda anche grazie all’uso del web che innesca reazioni a catena sugli opposti fronti. A documentarlo, dati alla mano, è l’Università del Maryland in un recente studio nel quale spiega come il terrorismo separatista bianco in Europa, Nordamerica ed Oceania «era in stallo a metà degli anni 2000» ma poi si è impennato a seguito dell’«aumento di popolarità» nei rispettivi Paesi.

Maurizio Molinari, La Stampa 22 luglio 2019