Numerose le tracce lasciate dagli hacker russi: dalla Brexit al Russiagate, dalla Catalogna fino all’Italia. L’analisi di Christian Rocca per La Stampa

La Russia di Vladimir Putin è la nazione protagonista dello scompiglio globale di questa epoca. La sofisticata strategia illiberale del Cremlino per indebolire le società aperte nasce per scongiurare il declino post comunista di Mosca, causato dall’allargamento della Nato e dall’europeizzazione della cintura dei Paesi ex sovietici che dal Baltico scende fino al Mar Nero. La dottrina, esplicitata pubblicamente nel 2013 dal generale Valery Gerasimov, mescola le antiche tattiche sovietiche di propaganda con le più sofisticate operazioni di guerra informatica per creare una moderna dottrina bellica che punta a sabotare, invece che ad attaccare direttamente, le società nemiche. Nel 2007 è stata adottata per la prima volta in Estonia, con un pesante cyberattack contro il Paese baltico.

La dottrina del Cremlino si è rivista in azione in Georgia, dove nel 2008 le forze russe sono intervenute per separare l’Ossezia del Sud e l’Abcasia da Tblisi. In Ucraina, nel 2014, il Cremlino ha violato il sistema di conteggio dei voti della Commissione elettorale e ha sostenuto sia le forze pro russe sia gli ultra nazionalisti per alimentare un conflitto interno che è stato utilizzato come pretesto per occupare la Crimea e le zone orientali del Paese.

L’obiettivo più ambizioso della strategia del caos però è l’Occidente: non potendo competere economicamente, militarmente e tecnologicamente, la Russia ha scatenato l’offensiva politica e mediatica per indebolirlo al suo interno, sfruttando le fragilità della società aperta, abusando delle innovazioni tecnologiche e approfittando della mollezza del mondo libero. Da questa idea di imbarazzare America e Europa nascono i finanziamenti ai leader estremisti, i patti politici con i partiti populisti, compresi quelli italiani, la fabbricazione di fake news, incluse quelle di Stato diffuse in inglese dalla tv RT e dai siti di propaganda in varie lingue, la protezione di WikiLeaks e di Edward Snowden e i tentativi di manipolazione dei processi elettorali nel Regno Unito, in Germania, in Francia, in Catalogna, in Italia e ovviamente negli Stati Uniti.

Nel gennaio del 2017, un documento congiunto di CIA, FBI e NSA si apriva con queste parole: «Siamo convinti che Vladimir Putin abbia ordinato di influenzare le elezioni presidenziali del 2016». Il rapporto del procuratore Robert Mueller, pubblicato parzialmente nelle scorse settimane, ha confermato la valutazione delle agenzie di intelligence, così come aveva fatto in precedenza una dettagliata inchiesta del Senato di Washington. Sono tredici i cittadini russi, e due le aziende, ritenuti dall’Fbi responsabili delle attività di guerra informatica.

Prima dell’elezione di Trump, la Russia è intervenuta a favore dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Nel 2016 le autorità inglesi hanno individuato 25 account gestiti dai servizi russi o da altri attori legati al Cremlino che hanno intrapreso una massiccia campagna pro Brexit sui social media e, inoltre, hanno svelato i rapporti tra i russi e il principale finanziatore britannico della Brexit. Il giorno del referendum, infine, gli hacker hanno attaccato le centrali elettriche britanniche.

Nel 2015 sono stati violati i computer del Bundestag tedesco e del partito della cancelliera Angela Merkel, mentre l’anno successivo i media russi di lingua tedesca hanno diffuso storie false sull’immigrazione per alimentare le tensioni interne, molto simili a quelle usate in America per spaventare gli elettori bianchi e convincerli a votare Trump o per distrarre gli afroamericani e i progressisti, scoraggiandoli dal votare per Clinton.

L’ex vicepresidente Joe Biden, in un articolo del gennaio 2017 su Foreign Affairs, ha denunciato la strategia del Cremlino, segnalando anche un attacco all’Italia in occasione del referendum costituzionale del 2016, poi confermato dai libri di Matteo Renzi e di Ben Rhodes, viceconsigliere per la Sicurezza nazionale di Obama.

Il 5 maggio del 2017, due giorni prima delle elezioni presidenziali francesi, gli hacker russi hanno messo online nove gigabyte di dati sottratti ai server della campagna di Emmanuel Macron, ma i francesi si erano preparati all’attacco e avevano fatto finta di abboccare alle email infette fornendo agli hacker documenti falsi. Nell’ottobre del 2017, in occasione del referendum per l’indipendenza della Catalogna, le stesse tecniche sono state usate per aiutare gli indipendentisti e destabilizzare la Spagna.

Si può discutere sull’impatto reale di queste ingerenze sui processi democratici americani ed europei, ma il dato innegabile è che gli attacchi ci sono stati, e sono ancora in corso, così come è lampante che il disordine occidentale di questa stagione sia l’obiettivo strategico perseguito dagli agenti del caos globale.

Christian Rocca, La Stampa 6 maggio 2019