A cinque giorni di distanza dal voto sulla riforma costituzionale, prosegue anche a livello internazionale il dibattito sull’esito del referendum e sugli scenari post-voto. Dopo l’allarme del Financial Times, è la volta dell’Ocse che ha preso posizione in favore di una vittoria del sì, che confermerebbe la linea intrapresa con le riforme fatte finora. Per Crédit Suisse, paradossalmente, proprio l’esito positivo del voto di domenica potrebbe tuttavia provocare maggiore instabilità perché aprirebbe le porte a una possibile vittoria alle elezioni politiche del Movimento 5 Stelle. Nel medio termine potrebbe essere proprio il successo del “sì” a provocare maggiori instabilità: “Il sistema elettorale, infatti, darebbe la possibilità al Movimento 5 Stelle di ottenere una forte maggioranza alla Camera. Quindi se da un lato la vittoria del “no” può essere problematica nel breve termine, nel medio termine ridurrebbe la possibile di governo dei 5 Stelle”. Senza la riforma, infatti, ben difficilmente il movimento guidato da Beppe Grillo riuscirebbe a ottenere la maggioranza sia alla Camera che al Senato, dove il sistema elettorale è puramente proporzionale.

Intanto a Piazza Affari il risveglio non è stato positivo ed è stato un brutto lunedì: il Mib ha chiuso a -1,81%, trascinato dalle difficoltà dei titoli bancari seguite alle affermazioni del Financial Times, secondo il quale in caso di vittoria del No, otto banche italiane sarebbero a rischio. La più sofferente ieri è stata Montepaschi (-13,8%) che ha appena lanciato l’offerta per convertire quattro milioni di bond in azioni, ma il cui piano corre il rischio di rivelarsi un flop. Lo spread, infine, ha chiuso a quota 186 punti. Il solito spread – ricorda oggi Il Foglio – raggiunse vette da record proprio all’apice della crisi finanziaria del 2011 in Italia, e lo stesso ha fatto in Grecia a più riprese (fino a che Atene, a differenza di Roma, non è nemmeno più riuscita a collocare titoli del suo debito pubblico presso gli investitori). Eppure oggi anche lo spread tra i titoli di stato americani e i bund tedeschi è al massimo, senza che ciò voglia dire, almeno in quel caso, che Washington è a un passo dal default.

Sul tema dell’incertezza nei mercati ha fatto sentire la sua voce autorevole ieri anche il presidente della Bce Mario Draghi, durante un’audizione al Parlamento europeo. Le sue sono state parole rassicuranti: ha sostenuto che di fronte a eventi che determinano incertezza geopolitica, i mercati hanno dimostrato di essere in grado di assorbire l’impatto nel brevissimo periodo, proprio come è successo negli Stati Uniti dopo l’elezione di Trump alla Casa Bianca. Draghi ha voluto dare una chiara risposta anche a coloro che hanno avanzato perplessità legate all’elevato debito italiano: il presidente della Bce ha sottolineato a tale riguardo che “stando all’impegno del paese e alla sua abilità di ripagare il debito”, quest’ultimo è “sostenibile”. “Il paese ha uno dei più elevati surplus primari”, ha poi aggiunto, avvertendo tuttavia che nonostante “misure incoraggianti” l’Italia “non può cadere nell’autocompiacimento”.

Quanto agli scenari del dopo voto Repubblica oggi ricorda che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ritiene che in caso di vittoria del no, Renzi non debba lasciare il governo. In alternativa, comunque, toccherebbe sempre al Pd formare un nuovo esecutivo, magari guidato dall’attuale ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, nel più breve tempo possibile. Oggi ha ripreso quota anche l’ipotesi di dimissioni di Renzi anche in caso di vittoria del Sì con un rafforzamento della compagine governativa.

(com.unica, 29 novembre 2016)