Prime tensioni tra alleati nel secondo giorno di battaglia per liberare la città nel nord dell’Iraq dallo Stato islamico, baluardo dello Stato islamico. I combattenti peshmerga curdi accusano infatti l’esercito iracheno di inazione. A Baghdad centinaia di persone hanno manifestato davanti all’ambasciata turca chiedendo al governo di Ankara di ritirare le truppe da Mosul. La resistenza dell’Isis si fa intanto più forte, rallentando l’avanzata verso Mosul con scudi umani e kamikaze. Secondo l’agenzia Reuters gli islamisti sarebbero pronti anche a usare armi chimiche, benché gli ufficiali degli Stati Uniti sostengono che la loro capacità tecnica nello sviluppare tali armi sia molto limitata. Questo significa che le armi convenzionali rappresentano ancora la minaccia più pericolosa rispetto all’avanzata delle forze irachene e curde – un obiettivo che quasi tutti gli osservatori ritengono sia abbastanza vicino.

Gli Stati Uniti sono in Iraq con circa 5.000 uomini. Più di 100 di loro sono di supporto alle forze irachene e curde Peshmerga coinvolte nell’offensiva a Mosul attraverso un sostegno tecnico e operativo affinché la forza aerea della coalizione possa colpire i bersagli giusti. Non c’è dubbio che la battaglia di Mosul rappresenti un banco di prova decisivo per la dottrina Obama, che si basa come è noto sul sostegno militare più che sul coinvolgimento diretto delle forze americane sul campo di battaglia. Una strategia che però deve scontrarsi con la realtà, con il rischio che almeno la metà dei 5.000 soldati americani oggi in Iraq possano essere coinvolti direttamente nelle operazioni di guerra, che potrebbero richiedere la partecipazione di circa 30.000 soldati iracheni e curdi. Gli esperti in strategia militare non sono concordi nel valutare il ruolo delle forze americane. Accanto ai dubbi di molti critici che sottolineano il rischio altissimo di un vero e proprio bagno di sangue, altri ritengono che la liberazione di Mosul andrà meglio del previsto, come scrive ad esempio Michael Knights su Foreign Policy, anche se in seguito non sarà facile mantenere la pace. 

Sul pericolo che le operazioni militari per riprendere Mosul possano trasformarsi in un massacro con molte vittime civili si segnala l’allarme lanciato ieri dall’Unicef, in cui si evidenzia che più di mezzo milione di bambini e le loro famiglie della città saranno esposti a gravi rischi. “I bambini di Mosul hanno già sofferto enormemente negli ultimi due anni. Molti potrebbero essere costretti a fuggire, rimanere intrappolati tra le linee di combattimento, o catturati nel fuoco incrociato”, ha detto Peter Hawkins, Rappresentante UNICEF in Iraq. L’UNICEF ha anche allestito più di 50 squadre per avviare una campagna di vaccinazione contro malattie come la poliomielite e il morbillo. “Stiamo lavorando giorno e notte per garantire che ovunque si trovino i bambini, l’UNICEF sarà lì con loro”, ha detto Hawkins. L’UNICEF esorta tutte le parti coinvolte nel conflitto a “proteggere i bambini e a rispettare il diritto umanitario internazionale, in modo che i bambini e le loro famiglie possano superare sani e salvi questo intenso periodo di violenza”.

(com.unica, 19 ottobre 2016)